Saputo molto più che un Presidente, è un mecenate

Saputo molto più che un presidente, è un mecenate

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Un decimo posto può costare 21,7 milioni di rosso nel bilancio? Cinque anni di gestione Saputo potevano costare meno di 102 milioni di perdite? Si potevano ottenere gli stessi risultati spendendo meno? Le domande potrebbero seguitare a piacimento. Perché fare i conti con i portafogli degli altri è l’hobby più diffuso su questi lidi. Quando parliamo di calcio, però, facciamo finta di credere che i bilanci di una società siano da trattare alla stregua di conti pubblici. Io stesso, mentre scrivo, mi accorgo di aver dedicato più tempo negli ultimi dieci anni a scrutare tra le righe del bilancio del Bologna anziché tra quelle – ben più importanti per le mie sorti – del preventivo dell’amministratore di condominio, che approfitto per ringraziare pubblicamente perché non ha mai imposto aumenti al suo onorario (e anche se fosse successo, appunto, non me ne sarei accorto).
Non trovando appagamento sportivo, per anni ci siamo dedicati a fare i piccoli Tremonti, appassionandoci ad aumenti di capitale, quote di minoranza, EBTDA, interessi passivi, ammortamenti, e questo la dice lunga sullo spettacolo che ci veniva propinato ogni domenica. Ma ora che anche il campo è tornato a parlare una lingua non solo comprensibile, ma pure seducente, sarebbe il tempo di arrivare a questa conclusione che azzarderei a definire addirittura saggia: prendere atto che il Bologna è gestito da un mecenate, né più né meno che da un Francois-Henri Pinault applicato non all’arte contemporanea ma al calcio. Se cominciassimo a pensare Saputo in questi termini, forse diventeremmo più indulgenti con lui, con il club, con noi stessi. E più contenti di seguire una squadra che non è mai stata così al sicuro come oggi nei mari agitati del calcio.

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Foto: Damiano Fiorentini