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Cinquini: “Da Beppegol a Nicco Galli, con Bologna ho un legame speciale. Saputo garantisce tranquillità, ma salire più in alto non è semplice”

Cinquini: "Da Beppegol a Nicco Galli, con Bologna ho un legame speciale. Saputo garantisce tranquillità, ma salire più in alto non è semplice"

Foto: veneziatoday.it

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Nella sua lunga e luminosa carriera da dirigente, il viareggino classe 1947 Oreste Cinquini ha girovagato veramente tantissimo, lasciando praticamente ovunque un segno positivo. È stato direttore sportivo di Fiorentina, Bologna (negli anni d’oro della presidenza Gazzoni, dal 1998 al 2002), Lazio, Udinese, Parma, Cagliari, Pisa e Venezia, approdando infine in Russia: prima al fianco del c.t. Fabio Capello come supervisore di tutte le Nazionali, poi di nuovo come d.s. allo Zenit San Pietroburgo. Uomo di calcio nel senso più pieno e positivo del termine, non ha ancora perso la speranza di rientrare in quel mondo che gli ha dato tanto ma che negli ultimi tempo lo ha un po’ dimenticato. Noi no, e oggi lo abbiamo contattato per una lunga chiacchierata a tinte rossoblù tra passato, presente e futuro.

Direttore, è un piacere ritrovarla: come vanno le cose? «Tutto bene, sono tornato ora dalla mia camminata quotidiana, mi sono fatto una doccia e adesso comincio la giornata. Purtroppo senza calcio…».

Quindi il pallone è un capitolo chiuso? «Mah, non dipende da me. Si vede che gli otto anni passati in Russia mi hanno tolto un po’ dal giro, la gente non si ricorda più. O forse trentadue anni di questo mestiere sono tanti e nessuno ha più bisogno di Cinquini. Peccato, perché avrei ancora tanta voglia. Qualche giocatore ogni tanto mi diceva: “Direttore, ma nella vita non c’è solo il calcio”. E io: “Eh ma il calcio è la mia vita” (ride, ndr)».

Un’esperienza davvero importante e prestigiosa, quella in Russia. «Eh sì, iniziata nel luglio 2012 e finita il 31 dicembre 2019, giorno in cui mi è scaduto il contratto con lo Zenit. Ho fatto quattro anni di Nazionale, al fianco di Fabio Capello per quanto concerne la selezione maggiore, e poi appunto altri quattro a San Pietroburgo, lavorando tra gli altri anche con Roberto Mancini: grandissimi allenatori».

Venendo al Bologna, diciamo che la nuova stagione poteva iniziare meglio… «Lunedì ho visto quasi tutta la partita ed è stata una brutta figura, la Ternana era sopra 5-1 al Dall’Ara… Ok che il calcio d’estate va preso con le molle ma conoscendo Sinisa, che è stato un mio calciatore alla Lazio, non mi sarei mai aspettato una prestazione così modesta a livello caratteriale. Poi certo c’è stato il tentativo di rimonta andato quasi a buon fine, però i buoi erano già scappati…».

Quindi è stato più l’aspetto caratteriale che quello tattico a colpirla in negativo? «Sì, l’approccio poco umile alla gara. Può succedere che una squadra di A si dimostri un po’ superficiale quando ne affronta una di categoria inferiore, però in questo caso si è andati oltre. Poi si è rimediato un po’ nel punteggio, non nella prestazione: per il tipo di calcio che vuole praticare Mihajlovic, al di là delle gambe più o meno pesanti bisogna che la concentrazione e la determinazione siano sempre al massimo. Contro le formazioni più forti le motivazioni vengono da sé, contro quelle di pari livello o più deboli vanno comunque trovate se si vuole fare risultato, non ci si può rilassare. Anche perché il Bologna non ha in rosa tanti giocatori capaci di cambiare da soli il corso di una partita».

Però il potenziale del reparto offensivo, almeno sulla carta, è notevole… «Barrow e Orsolini in particolare mi piacciono molto, hanno estro e inventiva, e da due così credo sia lecito aspettarsi qualcosa di più. Al di là del match di lunedì, in cui comunque Orsolini ha fatto il suo e Barrow è entrato bene, peccato non avesse molti minuti nelle gambe dopo lo stop causa COVID».

Adesso c’è anche Arnautovic: qual è il suo giudizio su di lui? «Ho avuto modo di apprezzarlo da vicino quando con la sua Austria giocò due belle partite contro la ‘mia’ Russia. È un calciatore di ottima qualità che purtroppo non ha sempre avuto continuità di rendimento, anche all’interno dei novanta minuti, ogni tanto si distrae e non partecipa. Spero che Sinisa gli riesca a trasmettere gli stimoli giusti, quelli che forse ha un po’ smarrito andando in Cina. Per la squadra può essere un grande valore aggiunto, a patto che si cali nella mentalità che a Bologna lo scudetto si vince innanzitutto ottenendo una salvezza tranquilla».

La metto giù un po’ brutalmente: nonostante Saputo, bisogna sempre parlare di salvezza… «A mio avviso lo staff dell’area tecnica, capeggiato da Sabatini e Bigon, è buono, ma al momento non vedo grandi chance di inserimento in una posizione medio-alta di classifica, non avverto i segnali che possano portare ad avere una rosa più competitiva. Parere squisitamente personale, sia chiaro. L’obiettivo del Bologna credo sia produrre un calcio piacevole, lanciare giovani di qualità e non soffrire mai, che di questi tempo non è poco. Poi lo so anch’io che il blasone del club e della piazza meriterebbero quantomeno di lottare fino all’ultimo per un piazzamento europeo, ma non è semplice».

Diciamo però che Bologna è un ambiente ideale per fare calcio. «Sì perché la città è stupenda, i bolognesi sono persone educate e valide a livello culturale, l’unica pretesa che hanno è di vedere una squadra che giochi bene e lotti su ogni pallone. Poi dipende da come si vogliono raggiungere gli obiettivi sul piano sia sportivo che economico, e lì bisogna chiedere a Saputo. Comunque in questi anni di pandemia, con le difficoltà finanziarie che in Italia già c’erano e ora sono aumentate, bisogna ringraziare di avere un presidente come lui che mantiene la società in acque tranquille e intanto guarda anche al futuro: l’emblema è il prossimo restyling del Dall’Ara, ma non solo. A fare il passo più lungo della gamba, specialmente oggi, si rischia, lo testimoniano le diverse grandi piazze che sono dovute ripartire dai dilettanti».

A questa squadra cosa manca per potersi definire veramente completa? «Adesso è quasi scontato dire che serve almeno un’aggiunta nel reparto difensivo. Poi leggo che Tomiyasu potrebbe essere ceduto, ma siccome Sabatini e Bigon non sono due sprovveduti credo che ci stiano riflettendo bene: o arriva una cifra veramente impossibile da rifiutare, oppure è meglio tenerlo qui. Ad ogni modo, se il giapponese dovesse partire sono convinto che tramite il lavoro degli scout siano già stati individuati alcuni giovani importanti in grado di sostituirlo degnamente. In generale, spero che da qui al 31 la rosa venga puntellata in modo da rendere il calcio spettacolare di Mihajlovic più redditizio, perché alla fine piaccia o meno contano i punti. Poi certo, Sinisa in primis dovrà metterci del suo».

Sabatini vorrebbe il calciomercato aperto tutto l’anno, Bigon lo accorcerebbe il più possibile: lei da che parte sta? «Finché il mercato è aperto, i giocatori più chiacchierati possono farsi attrarre e distrarre dalle sirene di altri club, una situazione che qualche difficoltà può indubbiamente crearla. E poi sì, gran parte degli affari si fanno negli ultimi giorni di trattative. Se proprio non si vuole accorciare la finestra estiva, si potrebbe quantomeno chiuderla prima dell’inizio del campionato, come era stato fatto qualche anno fa: un buon compromesso».

Se il suo occhio esperto guarda ai giovani talenti rossoblù, su quale o quali si sofferma? «Come detto, ho un debole per Barrow, mi è sempre piaciuto tanto: è imprevedibile, ha accelerazioni notevoli e un gran tiro. Forse per caratteristiche è più un contropiedista, deve migliorare sul piano del fraseggio, ma credo che potenzialmente valga i tanti milioni che è stato pagato e anche di più. Un altro aspetto su cui deve lavorare è quello caratteriale, dettato per ovvie ragioni anche dall’età: deve imparare a prendersi maggiori responsabilità e acquisire la piena consapevolezza della sua importanza all’interno della squadra. A tal proposito, Arnautovic potrebbe essere un ottimo traino per lui e per gli altri giovani, data la sua esperienza internazionale. Oltre a Barrow cito ancora Tomiyasu, che per qualità e professionalità è già un elemento da top club. Ma spero rimanga a Bologna ancora un po’».

Chi lascia Bologna, specie chi lo fa troppo presto, tende poi a pentirsene… «Bologna è unica perché è capace sia di far crescere i giovani che di rigenerare i campioni reduci da qualche anno difficile. Penso a Beppe Signori, per il quale mi prendo un pochino del merito, che all’epoca venne accolto tra lo scetticismo generale e poi segnò 84 gol. Peraltro lo sento spesso e sono felice che sia uscito a testa alta da quell’incubo giudiziario. Ma portai in rossoblù anche i vari Cruz, subito etichettato come un bidone, Pagliuca, pure lui considerato sul viale del tramonto e tornato protagonista, Locatelli… E non dimentico neppure quando cedemmo Andersson alla Lazio e dopo tre mesi andammo a riprendercelo. Che ricordi con lui e Ingesson, un altro grande uomo e giocatore che è poi andato incontro ad un tragico destino».

Anni d’oro che avrebbero meritato di essere coronati con un trofeo. «Penso in particolare a quella splendida cavalcata UEFA iniziata nell’estate 1998 con l’Intertoto, che poteva e forse doveva finire diversamente: la semifinale di ritorno col Marsiglia è un rammarico sempre vivo. Potevamo andare a Mosca a giocarci la finale contro il Parma, e lì chissà cosa sarebbe accaduto…».

È quello il rimpianto più grande legato al suo periodo sotto le Due Torri? «Esco per un attimo dal campo… A Bologna non sono stato bene, di più: devo ringraziare la famiglia Gazzoni e tutte le persone con cui ho lavorato. Ma la mia timidezza e la mia riservatezza, e di conseguenza la poca socialità, non mi hanno permesso di farmi apprezzare a pieno, e tornando al discorso iniziale le sto forse pagando ancora adesso. Mi ritengo un professionista serio, onesto e capace, ma forse Bologna aveva bisogno di una figura più espansiva, abituata a frequentare gli ambienti del tifo e ad interagire di più con la gente. Però vi assicuro che ero e sono ancora legatissimo alla città e alla squadra, e che ho vissuto in maniera viscerale ogni singola partita dei rossoblù. Ora mi viene in mente il 3-3 di San Siro contro il Milan, con doppietta di Cipriani…».

Con lo sguardo di ‘Cippo’ rivolto verso il cielo, verso l’amico Niccolò Galli… «Ricordo perfettamente il giorno in cui andai a vedere Niccolò a Londra nella finale di FA Youth Cup vinta con l’Arsenal, e poi quando al centro sportivo dei Gunners convinsi Arsene Wenger a lasciarlo partire in prestito. Erano presenti anche il papà Giovanni e Liam Brady, all’epoca responsabile del settore giovanile dell’Arsenal. E pensare che il motorino glielo comprai io per farlo andare a scuola e agli allenamenti… So che non devo sentirmi responsabile, ma un dramma del genere ti segna per tutta la vita (e qui, per un attimo, l’emozione ha il sopravvento sulle parole, ndr). Anche e soprattutto per questo motivo non potrò mai considerare Bologna un’esperienza come le altre, c’è e ci sarà sempre un legame speciale, è stata una tappa fondamentale per la mia carriera calcistica ma in primis per la mia vita. Niccolò aveva davanti a sé una brillante carriera ma soprattutto era un ragazzo meraviglioso, è stata una tragedia incommensurabile: quella maledetta notte è come se avessi perso un figlio anch’io».

Da tifoso, prima che da giornalista: grazie per quanto ha fatto per il BFC. «Non ho fatto niente di eccezionale, anzi, sono io che ringrazio Bologna e il Bologna per la straordinaria opportunità: spero di aver restituito almeno una piccola parte di ciò che ho ricevuto».

Simone Minghinelli

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