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De Silvestri: “È bello far parte di questo Bologna, a fine stagione vogliamo essere orgogliosi di noi. Per il futuro studio da centrale, non vedo l’ora di giocare col Dall’Ara pieno”

De Silvestri: "È bello far parte di questo Bologna, a fine stagione vogliamo essere orgogliosi di noi. Per il futuro studio da centrale, non vedo l'ora di giocare col Dall'Ara pieno"

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Mentre parli con lui ti rendi conto di avere a che fare con un ragazzo sveglio, intelligente, generoso, umile e soprattutto mai banale: insomma, quanto di più lontano dallo stereotipo classico del calciatore. Eppure Lorenzo De Silvestri calciatore lo è eccome, terzino destro classe 1988 con alle spalle una carriera fatta solo di Serie A (363 presenze, più altre 56 fra Coppa Italia e coppe europee) e nelle gambe ancora tanta benzina da mettere al servizio del Bologna di Sinisa Mihajlovic, che dopo averlo visto crescere nelle giovanili della Lazio lo aveva già allenato alla Fiorentina, alla Sampdoria e al Torino. Oggi, a due giorni dall’insidiosa trasferta di Crotone, abbiamo avuto il piacere di incontrarlo a Casteldebole, conoscerlo meglio e analizzare insieme il percorso dei rossoblù, chiamati a conquistare quanto prima la matematica salvezza per vivere un finale di stagione sereno, provando magari a migliorare i 47 punti dello scorso anno. Fra campo e vita privata, ecco cosa ci ha raccontato…

Lorenzo, come descriveresti la vittoria di domenica scorsa contro la Sampdoria? E che significato possiamo darle? «Una vittoria importante e non scontata, perché la Samp ha degli ottimi valori. Vedendo com’è maturata, credo che la squadra abbia dato una doppia risposta: da un lato il sacrificio, l’equilibrio, la capacità prima di reagire al pareggio e poi di gestire il vantaggio, dall’altro il gioco, considerata la qualità dei tre gol segnati e anche di altre azioni costruite».

Mihajlovic aveva parlato di ‘gara spartiacque’ prima del Benevento e del Cagliari, e il Bologna ha deluso: sabato a Crotone arriverà il tanto agognato salto di qualità? «La cosa migliore che possiamo fare, a mio avviso, è guardare alla singola partita ma senza assegnarle significati particolari o spingerci troppo avanti con gli scenari. Dobbiamo concentrarci totalmente sulle insidie che un match come ad esempio quello di sabato può nascondere, ma anche sulle nostre potenzialità, che sono molte. Credo che in questo modo riusciremo finalmente a trovare continuità di risultati e a scalare altre posizioni in classifica, un passo per volta».

Salvezza quasi acquisita, zona europea lontana: da qui in avanti come e dove si trovano le motivazioni per fare sempre meglio? «Abbiamo obiettivi sia di squadra che individuali, li portiamo con noi ogni giorno e sappiamo che se riusciremo a farli diventare un tutt’uno arriveremo bene a fine campionato, orgogliosi di noi stessi e col Bologna in una posizione migliore di quella attuale».

In seguito al pesante k.o. con la Roma, da fuori ci è parso di vedere un Bologna meno arrembante e più accorto: è effettivamente così? «Quella sconfitta è stata una botta pesante, a livello mentale ci ha creato qualche difficolta. Ma del resto la Serie A è questa, a maggior ragione in un campionato anomalo come quello attuale: se determinate squadre le trovi al top della condizione psicofisica e tu magari quel giorno non sei al massimo, rischi di fare brutta figura. In seguito sì, abbiamo lavorato ancora di più sul piano difensivo e iniziato a fare qualche gara più accorta, trovando via via il giusto equilibrio».

Sul piano del collettivo, riguardo al lavoro svolto in questo campionato, qual è la cosa di cui andate maggiormente fieri, e quale invece quella che proprio non vi soddisfa? «Da difensore vado orgoglioso delle cinque partite concluse a porta inviolata, quando sono arrivato qui sembrava una sorta di tabù da sfatare. Sono contento per il mio reparto, per i portieri ma in generale per l’intera squadra, perché la fase difensiva si fa in undici e quindi è merito di tutti. In negativo dico invece la continuità, non tanto di prestazioni quanto di risultati: da qui a maggio sarebbe bello e importante mettere insieme qualche vittoria di fila, ne trarremmo grande giovamento noi ma anche lo staff, la società e tutta la piazza».

Come ti stai trovando a Bologna e nel Bologna? «Nonostante le varie problematiche legate alla pandemia, sono riuscito a scoprire una città bella e ospitale, abito in centro e nei limiti del possibile ho sempre cercato di viverla a pieno. I bolognesi sono persone educate e rispettose ma anche goliardiche, ho amato fin da subito il loro modo di fare. Anche l’ambiente calcistico mi piace molto, il centro sportivo è fantastico e la società è sana, in più ho scoperto un gruppo variegato in cui mi trovo benissimo: qui ci sono ben diciotto nazionalità diverse e si va dal giovanissimo fino al veterano, ma la caratteristica in comune è che sono tutti ragazzi perbene».

Che voto o che giudizio dai alla tua stagione fino ad oggi? «Preferisco lasciare ad altri i giudizi sulle mie prestazioni. Posso solo dire che sono davvero felice di essere qui, di poter mettere la mia esperienza al servizio del tecnico e della squadra, sia dentro che fuori dal campo. Alla soglia dei 33 anni è bello far parte di un gruppo così giovane e, come dicevo prima, molto vario in termini di lingue e culture: mi piace imparare sempre cose nuove e nel contempo fungere anche un po’ da collante, rendendo tutti partecipi all’interno dello spogliatoio».

A due anni e mezzo di distanza dall’ultima esperienza insieme, che Mihajlovic hai ritrovato? «Il mister è sempre lo stesso: motivazioni alte e voglia di vincere ogni partita che gli si presenta davanti, con una precisa idea di calcio e tanta determinazione nel proporlo. Questa caratteristica lo contraddistingue e ci motiva a tirar fuori quel qualcosa in più che spesso fa la differenza. Lui e il suo staff, che non va mai dimenticato, svolgono un lavoro egregio, e noi ci teniamo a valorizzarlo chiudendo alla grande il campionato».

Il ritorno di Tomiyasu sulla fascia destra è stato ed è più un ‘fastidio’, in termini di concorrenza, o uno stimolo positivo? «A Tomi posso solo fare i complimenti perché è un ragazzo splendido, una persona speciale, oltre che un professionista clamoroso. Siamo amici e tra di noi c’è una sana e tranquilla rivalità, come ce ne sono altre in squadra: la concorrenza, se vissuta in maniera positiva, è fondamentale per la crescita di un collettivo, perché spinge ogni singolo ad alzare il livello delle prestazioni sia in partita che in allenamento».

Ultimamente impazza il dibattito sulla costruzione dal basso: tu che sei difensore e giochi ad alti livelli dal 2005, quindi hai vissuto da dentro l’evoluzione del calcio, cosa ne pensi? «Ormai se ne parla anche troppo (ride, ndr)… Io ho vissuto anche un calcio diverso, quando ancora si lanciava la palla lunga sulla punta o sull’esterno e si andava ad aggredirla di testa, però sono abituato a guardare ai cambiamenti con spirito propositivo, senza pregiudizi. Mi fa piacere che il calcio evolva, provi a migliorarsi, e la costruzione dal basso fa parte di questa evoluzione: gli si può dare più o meno peso, si può farne un credo o usarla solo sporadicamente, ma in ogni caso va rispettata».

Di recente hai dichiarato a Bfc Tv: “Se fossi un tifoso rossoblù, il mio idolo sarebbe il Bologna stesso”. È una bella frase e si sposa benissimo con questa piazza, che mette sempre la maglia al primo posto. «La frase è frutto della mia esperienza in cinque club diversi, quindi so bene che i calciatori passano ma la maglia resta e il tifoso deve amare soprattutto quella, meglio ancora se rappresenta la squadra della sua città. Ho notato che i tifosi del Bologna ci tengono particolarmente, il legame coi colori rossoblù è fortissimo, e per me è un grosso dispiacere non aver ancora potuto giocare una partita col Dall’Ara pieno. Voglio provare ad essere fiducioso: speriamo di riuscirci presto».

Da diverso tempo sei testimonial di Fondazione AIRC: com’è nata questa collaborazione e quanto ti gratifica l’impegno nel sociale? «Questa domanda mi fa piacere perché ne vado super orgoglioso. La mia ragazza Carlotta è ricercatrice medica e si occupa soprattutto di tumore al seno, è grazie a lei che ho iniziato a conoscere meglio il mondo AIRC. L’associazione cercava testimonial per promuovere la propria attività e così ho fatto alcune cose con loro: sempre più gente deve conoscere e sostenere il lavoro dei ricercatori, così nel mio piccolo provo a sfruttare la mia immagine per aiutarli e veicolare messaggi positivi. Troppo spesso i social vengono utilizzati in maniera futile, ed è un vero peccato perché se valorizzati possono rivelarsi uno strumento prezioso».

Quali sono i tuoi hobby e le tue passioni? «Amo viaggiare, cosa che purtroppo adesso non si può fare, ma se non altro prima delle ultime restrizioni ero riuscito a girare un po’ l’Emilia e a visitare per bene Bologna. Mi piace l’arte, sono un collezionista, per il resto nel tempo libero faccio cose molto normali come leggere, ascoltare musica o gustarmi un bel film».

L’hai accennato prima, il 23 maggio compirai 33 anni: dove senti di poter ancora migliorare? E un finale di carriera da centrale è un’ipotesi verosimile? «Negli ultimi due mesi sono stato provato spesso da centrale in allenamento e qualcosa si è visto anche in partita, è un’evoluzione interessante che potrebbe aiutarmi e magari allungarmi la carriera, ci sto lavorando insieme al mister. Riguardo alla prima domanda, ogni giorno mi alleno cercando di trovare qualcosa da migliorare, perché amo la mia professione, l’impegno quotidiano, il venire al campo e dare tutto. Finché sarà così andrò avanti, altrimenti… ciao ciao (ride, ndr)».

Concludiamo con un rimpianto relativo alla tua carriera, se c’è, e un sogno per il futuro, non necessariamente legato al calcio. «Io ho sempre cercato di dare il massimo, e quando sei consapevole di aver dato il 100% vivi anche gli errori in maniera diversa, meno negativa. Se proprio devo trovare un rimpianto guardo alla Nazionale, al crociato rotto nel mio momento migliore (12 giugno 2015, durante Croazia-Italia, ndr): probabilmente in azzurro avrei potuto fare qualcosa di più, un po’ per colpa mia e un po’ per sfortuna. Il sogno? Diventare papà e poi nonno (sorride, ndr). Sarà che sono diventato zio da poco ma è qualcosa che sento in maniera molto forte, voglio godermi a pieno questo viaggio meraviglioso che è la vita».

Simone Minghinelli

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