Zerocinquantuno

Mi sei mancato

Mi sei mancato

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Mi sei mancato, ho pensato ai posti dove non siamo mai andati (Gigi D’Agostino, ‘E mi manchi tanto’, 2010) – La reazione immediata, il 13 luglio, è stata di duplice rifiuto. No, non poteva essere vero. No, non avrei mai scritto della malattia del mister ma solo di campo, di calcio, di Bologna.
Per certi versi è stato facilissimo mantenere la promessa, per altri quasi impossibile. È stato facile non scivolare nella retorica più bieca, questo sì. La narrazione dell’eroe mi fa scendere il latte alle ginocchia, quella del combattente mi fa scuotere la testa. Davvero era il caso di parlare a Mihajlovic di guerra e di battaglie, a lui che ci è cresciuto dentro? Lui non lo farebbe mai, ho pensato sin dall’inizio. Non lo ha mai fatto.
È stato anche difficile, però, perché avevo dentro una spinta che faticava a tradursi in parole ma premeva ogni volta che la squadra non girava come avrebbe potuto. L’ho capito solo in questi giorni, cos’era quella spinta. Era il rifiuto di luglio che prendeva forma, erano rabbia e impotenza che si mischiavano insieme a davano vita alla frustrazione.
Io faccio il giornalista sportivo, maledizione!
Non lo sapevo e avrei voluto continuare a non saperlo, a quanti cicli di chemioterapia deve sottoporsi un malato di leucemia. Che poi, ‘leucemia’ è generico, ce ne sono di tipi diversi. Neanche questo sapevo.
Volevo restare ignorante. Volevo continuare a fare all’infinito quelle gag con un mio caro amico che sta studiando per diventare chirurgo, con lui che mi snocciola alcuni termini medici e io che di rimando gliene butto indietro una dozzina a raffica, fingendo di ribattere punto su punto.
L’ovvia verità è che non ci capisco niente, e che a volte fatico a comprendere pure le sue seguenti, magnanime, spiegazioni.
Quando Sinisa ha raccontato che prima di partire per Verona aveva 400 globuli bianchi per microlitro, il mio primissimo pensiero è stato: e quindi?. Fino ad un attimo prima, per quanto ne sapessi io, 400 poteva pure essere un buon numero. Poteva significare essere in salute, 400.
D’un tratto io e tutta Bologna abbiamo dovuto entrare in contatto con una realtà che la maggior parte di noi non conosceva, noi prevalentemente dediti al calcio, con tutte le sue brutture e banalità che però sono le nostre brutture e le nostre banalità. E in questi mesi, in maniera assolutamente imprevista, mi sono mancate.
Mi è mancato sentir parlare di trapianti solo quando facendo zapping beccavo per sbaglio Grey’s Anatomy. Le terapie a cui avrei voluto interessarmi erano soltanto quelle di riabilitazione dopo un infortunio. Volevo tornare a parlare di campo. Scrivere due righe sul fatto che Tizio non potrà allenarsi per due settimane e leggere i commenti di chi dice che Tizio è sempre rotto.
Sentivo un bisogno fisico di ascoltare una conferenza prepartita standard, quelle in cui l’avversario è pericoloso e in forma anche se ultimo in classifica e con una differenza reti di meno 30, volevo sentirmi ricordare che in Serie A non ci sono partite facili e che nessun impegno va preso sottogamba.
Più di tutto mi è mancato il potere terapeutico della scrittura post incazzatura da sconfitta, perché per mesi quell’incazzatura mi sono vergognato a provarla.
È stato veramente complicato, in questa prima parte dell’anno, parlare di calcio. Per quanto mi riguarda, già a luglio si sarebbe potuto appendere un post-it sul logo di Zerocinquantuno con su scritto: «Il Bologna non potrà essere raccontato a pieno finché Mihajlovic non si rimetterà, ci auguriamo di tornare il prima possibile».
Ma la giostra non si ferma, mai, e nonostante tutto io, Sinisa, il Bologna, tutti quanti noi «siamo ancora qua». I primi giri sono stati terribili ma, ora che la nausea sembra passata e ci si sta assestando, si può sperare che nell’anno venturo giungeremo al punto in cui staremo meglio e inizieremo a divertirci. Ce lo meritiamo o no?
Buon Natale e buone feste a tutti, l’appuntamento è per il 2020, sempre qui. A parlare di calcio, però. Solo e soltanto di calcio.

Fabio Cassanelli

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