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Normale

L'esempio e lo spettacolo: Mihajlovic, il Bologna e la bellezza del calcio, dentro e fuori dal campo

Ph. Damiano Fiorentini

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Cos’è che posso fare per farti capire che i veri eroi non sanno volare? ‒ (Francesco Renga feat. Ermal Meta, ‘Normale’, 2019) – Era ingannevole convincersi che la toccata e fuga di mister Mihajlovic al campo d’allenamento, nella settimana che ha preceduto Bologna-Parma, potesse portare una scarica d’adrenalina ai suoi ragazzi. È probabile che abbia invece sortito l’effetto contrario, finendo per sottolineare l’inevitabile instabilità con cui questa squadra dovrà fare i conti nei prossimi mesi. Riavere affianco Sinisa per poche ore e poi perderlo di nuovo, psicologicamente, potrebbe essere stato peggio che saperlo in ospedale. Non è un pensiero cinico, è che semplicemente la mente umana non si regola sui meccanismi on/off o entusiasmo/depressione, e non è scritto da nessuna parte che la sola presenza del serbo basti a riaccendere il motore mentale di persone (non giocatori, persone) a cui si sta chiedendo un po’ troppo spesso di passare da zero a cento in tempo record.
Le emozioni sono decisamente più articolate di così, e non ci sarebbe niente di male nel constatare che le sparute apparizioni di Mihajlovic, più che adrenalina, abbiano generato turbamento. Chi in questa affermazione dovesse leggere un velato invito al mister a tenersi lontano da Casteldebole fino a quando non si sarà rimesso completamente, può anche arrestare qui la lettura. Sinisa, com’è ovvio che sia, può e anzi deve presenziare agli allenamenti e alle partite tutte le volte in cui la salute glielo consentirà, ma negare che averlo in panchina per una partita e non trovarcelo per le successive due, tre o quattro, possa causare nei suoi ragazzi un po’ di smarrimento, sarebbe da ingenui.
«Eh ma sono professionisti, devono saper far fronte a situazioni simili». Stupidaggini. La loro professione è il calcio, e quanto sta avvenendo intorno al Bologna di calcistico non ha proprio nulla. Finché a ripeterla è Emilio De Leo o chi per lui, è una frase davanti a cui togliersi il cappello, poiché pregna della volontà di staff e società di non piangersi addosso. Ma se a proferirla sono tifosi seriamente convinti che avere uno stipendio molto lontano da quello dei comuni mortali sia un antidoto contro ogni cosa, allora repetita iuvant: stupidaggini.
Gli sforzi che tutto l’ambiente del BFC sta facendo per dare una parvenza di normalità all’anormalità, meriterebbero più comprensione e meno mugugni. È normale che tutta la stagione normale non lo sarà, e per carità, è pure comprensibile esserne delusi e amareggiati, dopo essersi fatti la bocca buona nello scorso girone di ritorno e per tutta l’estate. Prendersela con la campagna acquisti, le amnesie della difesa o la mancanza di concretezza offensiva, però, lascia il tempo che trova.
Senza nascondersi dietro un dito, il vero ed unico ostacolo alle possibilità del Bologna di essere la squadra che tutti stavano aspettando, è la malattia del mister. Sottolinearlo non è mancare di rispetto a lui né ai suoi ragazzi, ma è fare la sintesi più sincera possibile del perché questa stagione non possa essere giudicata secondo i metri abituali. Benedette siano la rimonta di Brescia, il gol di Soriano contro la Spal e la legnata di Dzemaili contro il Parma, ma nessuno di questi episodi ha segnato né segnerà la vera svolta, che arriverà solo col ritorno in pianta stabile di Mihajlovic. A questo gruppo non serve una scossa, serve la normalità. Arriverà, ma probabilmente non quest’anno. Serve tempo. Serve Sinisa.

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