È stato l’anno che ha riscritto la Storia, quello che fra tre o quattro decenni servirà ancora come promemoria ai futuri nonni per poter dire ai nipoti nascituri: «In quel 2025 accadde proprio questo». Noi ci auguriamo che il Bologna, nel mentre, contribuisca a rendere sempre più difficile scandire la frequenza delle sue vittorie, ma qualunque cosa accada nell’immediato futuro sarà sempre questa Coppa Italia a garantirsi un ancoraggio sicuro nei ricordi.
E pensare che il 2025 era iniziato con lo strascico di un dibattito che a ricordarlo oggi fa molto sorridere: Italiano riuscirà a fare meglio di Thiago Motta? Alla ventesima giornata della stagione 2024/25 molti avrebbero ancora esitato a rispondere, nonostante classifica e gioco mostrassero chiari segni di miglioramento (settimo posto e 33 punti). Ma fu la vittoria sull’Atalanta il 4 febbraio, in Coppa Italia, a scrostare gli ultimi dubbi, proiettando il BFC dentro una semifinale che il caso ha voluto formare col tremebondo Empoli.
L’anno di Italiano, certo, ma anche l’anno di Saputo, Fenucci, Sartori e Di Vaio, insomma di una proprietà e una dirigenza che ha mostrato all’intero calcio italiano (con la i minuscola) come si può lavorare senza doversi svenare per far felici agenti e potenti di turno, zittendo gli ultimi arroganti che considerano il pallone un affare ristretto ai soliti sei-sette club.
Ancora troppo poco, però, si è detto e scritto della capacità del mister di violare le leggi della matematica, riuscendo a produrre una valore collettivo di squadra superiore alla somma dei singoli elementi che la compongono.
È l’Italiano che ha costruito un attacco dal nulla, o meglio da un Castro ancora implume, da un Dallinga ancora oggetto semi-misterioso, da un Immobile mai realmente avuto in dotazione, virando la forza dell’undici sulle sue corsie laterali, seppur spesso minate da infortuni o partenze (Cambiaghi fuori per mezza stagione il primo anno, Bernardeschi a mezzo servizio e ora fermo fino a febbraio, Ndoye ceduto dopo l’exploit).
È l’Italiano che in un anno è riuscito a perdere solo 11 partite, di cui almeno un paio emendate per evidente prolasso psicologico dopo il trionfo del 14 maggio Roma.
È l’Italiano che del Bologna non ha mai fornito una versione arrendevole, rinunciataria o meschina: sempre in avanti, anche quando le energie sono poche e gli infortuni sono tanti.
È l’Italiano che non ha fatto collassare la difesa dopo la cessione di Beukema e l’ammutinamento silenzioso di Lucumí, che chiedeva di andare via a fine agosto. Perché un allenatore è tale anche quando riesce a riportare la pecora nera all’ovile, convincendola a dare il massimo in ogni situazione.
È l’Italiano che ha già costruito le basi del futuro, dando sicurezza a Ravaglia e persino al terzo portiere Pessina, nel massimo momento di emergenza tra i pali.
Gli applausi dei 27.832 spettatori nell’ultima partita col Sassuolo (un numero abnorme, considerato l’avversario e il freddo) chiudono il sipario su un’annata che si poteva immaginare soltanto nei romanzi di fantascienza, con 52 partite, 25 vittorie (inclusa la prima, storica, in Champions League, il 21 gennaio contro il Borussia Dortmund), 16 pareggi, 91 punti totali e una media di 1,75 a gara, che nella quota campionato varrebbe idealmente il sesto posto assoluto. Ma soprattutto le due finali e una Coppa Italia che non sembra aver generato sindromi da appagamento. Anzi.
Se si guarda indietro, il Bologna sa di aver cambiato pelle ma di essere rimasto ancora se stesso. Sono gli altri, semmai, ad aver cambiato pelle senza più ritrovarsi: la Fiorentina che fu proprio di Italiano langue all’ultimo posto con 25 punti in meno dell’anno scorso, una dirigenza smontata e 90 milioni impegnati sul mercato impossibili da recuperare. Gli ex rossoblù ceduti a peso d’oro, da Ndoye a Zirkzee, stanno bussando di nuovo in Italia per non macerarsi nell’oblio inglese. E Thiago Motta è ancora senza squadra. Qualcosa vorrà pur dire.
Luca Baccolini
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Foto: Marco Rosi/Getty Images (via OneFootball)
