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Frammenti del Solferino e del Mirasole Grande – Elegia in sette movimenti (Settimo movimento: Commiato)

Frammenti del Solferino e del Mirasole Grande - Elegia in sette movimenti (Settimo movimento: Commiato)

Ph. zerocinquantuno.it

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«Quando sono per sempre, gli addii dovrebbero essere rapidi». [Lord Byron]

Trascorsero settimane. E per settimane Mauro Baccilieri si era dato da fare per insegnarmi a «fare la figa alla guascona» come diceva lui. Ma io passai dalla refrattarietà allo sviluppo di un mio modo di essere e devo dire che da allora ho maturato una profonda gratitudine verso le ragazze che mi piacquero e che ricambiarono le mie inadeguatezze con inspiegabile amorevolezza. Come succederebbe ad uno scolaro che avendo studiato poco e ancor meno provvisto di intelligenza, chiamato a interrogazione gli concedessero la sufficienza e a volte anche di più.
Poi quella stagione volse al termine. Finiva l’anno scolastico, e per me era tempo di tornare a casa per passare l’estate nel campo di mio padre.
Una mattina alle dodici e mezza, dopo l’ultimo giorno di scuola, passo da Clavature verso Piazza per salutare Sereno al chioschetto dei limoni.

«Buongiorno Sereno», gli dico.

«Sgnurén ‘d Bûdri!». «Signorino di Budrio!», mi risponde piacevolmente sorpreso.

Lui pensava che io fossi figlio di un signore e che adesso me ne andassi in vacanza. A me invece toccava di scapitozzare barbabietole sotto la canicola e stipare fieno nelle cascine. Indovinare l’ora osservando il disco cocente del sole. Immaginare mondi sotto il frinire delle cicale e l’universale garrire delle invisibili allodole. Rincasare dalla campagna a notte accompagnato dal frinire dei grilli e sotto la luna grande come l’intero cielo divinare dalle costellazioni i percorsi della Via Lattea.
Intanto si era avvicinata un’altra persona e io, che accennavo a scambiare due parole di commiato, mi feci un poco da parte. Il nuovo venuto mi sembrò inoltre un po’ male in arnese e disse qualcosa a Sereno intanto che questo si metteva in tasca un fascicoletto di carte da mille. Vidi Sereno alzare gli occhi e fare con la testa il giro alto del crocicchio: vide come io adesso vedo la facciata di Santa Maria della Vita. Le travature possenti degli sporti di Casa Schiavina. I gradini che salgono al Portico della Morte. Mentre di sicuro andava cercando le parole per un esito che, in seguito potei dirlo, doveva avere già chiaro in testa:

«Vàddet…», cominciò. «Vedi…».

«Mé, at li darévv». «Io te li vorrei dare».

Poi con sofferenza: «Mò an pòs brîṡa». «Ma non posso».

«Parché al diretåur ‘d la bènca…». «Perché il direttore della banca…».

E qui Sereno sollevò il braccio più solennemente dell’Ugo Bassi che allora stava in via XX settembre, riferito all’incombente Cassa di Risparmio:

«Aîr l’é gnó fòra e al m’a détt…». «Ieri è uscito in strada e mi ha detto…».

E stavolta Sereno cominciò la frase in italiano, proprio come doveva aver fatto il direttore:

«Lei, signor Sereno, pensi a vendere i limoni».

Per poi concludere in dialetto così:

«Lei signor Sereno pensi a vendere i limoni, che a prestèr i bajûch a j pinsèn po’ nô!».

Io dico che l’escogitazione di un così sontuoso rampino, di una declinazione così densa di significato, erano segnate dal genio, e che quella gente fu grande.

Bombo

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

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