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N come numero di maglia

N come numero di maglia

Ph. gianfrancoronchi.net

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Oggi, nell’ambito della mia rubrica Zona stadio, vi parlerò dei numeri di maglia. Potrebbe sembrare un argomento marginale, invece ha degli aspetti molto interessanti. Innanzitutto perché il numero sulla spalle, ancora oggi, stuzzica la fantasia dei bambini e non solo…
Per tradizione il numero 1 ha sempre identificato in tutto il mondo il portiere, ruolo unico e affascinante, così come in Italia i numeri bassi equivalevano ai difensori: il 2 e il 3, ad esempio, erano i terzini, destro e sinistro. Quello più significativo e che contraddistingueva il fuoriclasse della squadra era il 10, mentre quello del centravanti il 9.
Tutto ciò per sottolineare come il numero delineasse perfettamente il ruolo del calciatore in questione.
La formazione dall’1 all’11 era patrimonio soprattutto italiano, poiché in altri Stati la regola era diversa o comunque meno rigida. Il caso più celebre riguarda senza dubbio Johann Cruijff, che sia nell’Ajax che nell’Olanda degli anni Sessanta-Settanta indossava il 14, a sottolineare come all’interno del calcio totale lui fosse sì un attaccante ma senza posizione fissa.
Tornando all’Italia, tale regola veniva infranta solo dagli azzurri nelle competizioni internazionali, visto che si era soliti procedere con la numerazione fissa in ordine alfabetico (l’unica eccezione, almeno per noi, erano i portieri, a cui solitamente andavano l’1, il 12 e il 22). Ricordo ad esempio i Mondiali di Argentina ’78, in cui gli attaccanti Rossi e Bettega vestivano rispettivamente il 21 e il 18.
Per quanto concerne il Bologna e il suo passato glorioso, vorrei porre i riflettori sul numero 7: lo aveva Amedeo Biavati, ala della Nazionale campione del mondo nel 1938 e inventore del doppio passo, poi venne valorizzato da Cesarino Cervellati e in seguito da Marino Perani. Tutti giocatori di fascia tecnici e scattanti, dotati – tra le altre qualità – di un cross perfetto per gli attaccanti. Anche se a dire il vero una volta Perani, sorridendo, mi raccontò che a volte crossava senza neanche guardare troppo dove dirigere la traiettoria, perché tanto quel fenomeno di Ezio Pascutti (numero 11 ma bomber vero) sarebbe comunque piombato prima di tutti sul pallone… dando un dispiacere alla difesa avversaria.
Personalmente, attorno agli 11-12 anni, possedevo una maglia del Bologna un po’… anomala, visto che aveva delle strisce rossoblù ma strette, simili a quelle di Inter, Juventus e Milan, ed era ‘vuota’ sul retro. Finché un giorno, alla Farnesina Sport di via Oberdan, non comprai un 9 di finta pelle bianca: era il numero di Sergio Clerici, nostro centravanti di allora, un italo-brasiliano tornato sotto le Due Torri (ci aveva già giocato nel 1967/68) nell’ambito dell’operazione che portò Beppe Savoldi al Napoli per la cifra complessiva di 2 miliardi. Ma questa è un’altra storia…

Roberto Porrelli

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Foto: gianfrancoronchi.net