Hickey:

Hickey: “Il Bologna è un top club e questo gruppo è una famiglia, ho fatto la scelta giusta. Una fortuna lavorare con Mihajlovic, punto ad arrivare in Nazionale maggiore”

Tempo di Lettura: 6 minuti

Primo scozzese e più in generale primo britannico a vestire ufficialmente la maglia del Bologna, Aaron Hickey è abituato ai record e a bruciare le tappe, fin dal suo debutto in Scottish Premiership con l’Heart of Midlothian a neanche 17 anni. A poco più di tredici mesi dal suo arrivo in Italia, è già impossibile farsi trarre in inganno dalla data di nascita (10 giugno 2002) e da quell’aria sbarazzina tipica degli adolescenti, perché il campo si è già espresso e ci ha mostrato un giocatore maturo, intelligente, consapevole, capace di unire un’ottima qualità allo spirito combattivo tipico del suo popolo. Sinisa Mihajlovic, uno che non difetta certo in termini di attributi, ci ha messo poco a capirlo. «Hickey? Mi piace perché ha le palle», disse il mister dopo una manciata di allenamenti, avviandolo su un percorso fatto di fiducia e continuità che solo un duplice infortunio ha interrotto. Dopo un periodo trascorso ai box, il terzino di Glasgow è tornato, si è ripreso il posto da titolare e non l’ha più lasciato, coronando il tutto coi suoi primi due gol in Serie A, contro Genoa e Lazio. Oggi, a due giorni dall’insidiosa trasferta di Marassi sponda Samp, abbiamo avuto il piacere di intervistarlo a Casteldebole, conoscerlo meglio e confermare la sensazione avuta dall’esterno: questo ragazzo farà strada. Sperabilmente, il più a lungo possibile, insieme al BFC.

Aaron, come descriveresti in una sola parola quest’ultimo anno della tua vita? «In una parola è difficile perché ci sono state dentro tante cose, dall’inizio dell’avventura a Bologna fino agli infortuni e agli interventi alle spalle. Fin qui comunque lo giudico un buon anno, e se devo usare un termine dico ‘diverso’: un ambiente diverso, una lingua diversa, un calcio diverso, ma tutto ciò mi sta piacendo molto».

Su di te c’erano Aston Villa, Bayern Monaco, Celtic Glasgow e Lione, ma alla fine hai scelto il Bologna: perché? «Una delle motivazioni principali è che quando sono venuto in visita ho ricevuto delle sensazioni estremamente positive, osservando le bellissime strutture ma anche e soprattutto parlando con le persone che lavorano qui. Altrove non ho percepito le stesse cose e questo ha senza dubbio influito sulla mia decisione, facendomi capire che il Bologna non ha nulla da invidiare ai top club europei: è stata la scelta giusta».

In campo sembri un calciatore maturo e consapevole, a dispetto dei tuoi 19 anni: anche nella vita ti senti già così? «Mah (sorride, ndr)… Diciamo che sono un tipo tranquillo e questo mi porta a rimanere calmo e concentrato anche quando gioco, se traspare questo di me probabilmente è l’impressione corretta».

Quanto è stata dura rimanere a lungo fermo per via del doppio infortunio alle spalle? «Devo ammettere che è stato difficile, non solo per le operazioni e la lunga riabilitazione ma anche per i vari lockdown stabiliti in quel periodo. Adesso sono davvero felice di essere tornato in campo e aver ritrovato la forma migliore».

E hai pure iniziato a segnare… «Il primo gol in Serie A, in uno dei campionati più prestigiosi al mondo, è stato… wow, una sensazione pazzesca! E poi il secondo, ad una squadra forte come la Lazio, incredibile. No, penso proprio che quei brividi non li scorderò mai».

Mihajlovic ha dimostrato fin da subito di apprezzarti e ti ha dato fiducia: che tipo di rapporto hai instaurato col mister? «Molto buono. Lui in carriera ha ricoperto anche il mio stesso ruolo e quindi mi dà consigli molto precisi e insegnamenti personalizzati, per me è una fortuna. E poi certo, ho avvertito fin da subito la sua fiducia, cosa che per un giovane come me significa molto».

Piccola curiosità: sei sempre stato ambidestro o hai imparato via via ad usare bene entrambi i piedi? «Sarò onesto: è una dote naturale, non ho dovuto lavorarci troppo (sorride, ndr). Comunque sì, mi sono allenato, specie col mancino, e ho un aneddoto a riguardo: da piccolo, nel giardino sul retro di casa mia, avevo una porta angolata in un modo che mi consentiva di calciare le punizioni solo di sinistro, e così sono migliorato parecchio».

Ieri siete stati tutti insieme a cena per celebrare la ‘seconda vita’ di Sinisa e la nascita della sua nipotina: dall’esterno date l’impressione di essere un gruppo molto unito, è così? «Sì, assolutamente, e serate come quella di ieri ti fanno sentire ancora più parte di una grande famiglia. Questo è un ambiente meraviglioso in cui tutti si aiutano a vicenda: tra società, staff tecnico e squadra c’è una forte compattezza sia nei momenti belli che in quelli più difficili».

Sempre a proposito di gruppo, quali sono i compagni con cui hai legato maggiormente? «In particolare con gli altri giovani, anche perché parlano bene inglese, Binks in primis per ovvie ragioni di provenienza. Ma in realtà mi trovo bene un po’ con tutti».

Ad inizio stagione sei stato schierato terzino e hai sofferto un po’, peraltro contro avversari fastidiosi: il nuovo modulo, nel quale fai l’esterno a tutta fascia, ti sta aiutando ad esprimerti al massimo? «Sicuramente è un bel vantaggio perché posso spingermi di più in avanti, partecipando con maggiore costanza all’azione offensiva. Ora alle mie spalle so di avere la copertura di Theate, con cui ho un’ottima intesa sia dentro che fuori dal campo, perciò mi sento più tranquillo».

Sulla fascia sinistra hai soffiato il posto a Dijks, spesso alle prese con problemi fisici: ora che Mitchell sta bene, avverti un po’ di pressione o la concorrenza è uno stimolo positivo? «Vado d’accordo con ‘Mitch’ ed entrambi guardiamo a questa sorta di dualismo in maniera positiva, perché ogni giorno ci porta a spingere sempre più forte in allenamento e di conseguenza a migliorare. Penso che nel calcio, e negli sport di squadra in generale, la competizione interna debba essere vissuta così».

Oltre a te, in rosa ci sono altri giovani di grande talento: dal tuo arrivo ad oggi, qual è quello che ti ha più impressionato? «Tra i tanti faccio ancora il nome di Binks, non perché siamo amici ma perché l’impatto che ha avuto sia negli allenamenti che poi in partita è stato davvero notevole. Ed è un classe 2001, ha solo un anno in più di me…».

Passando invece ai veterani, quanto sono importanti sia in campo che nello spogliatoio figure come Arnautovic, De Silvestri, Medel e Soriano? «Sono dei leader eccezionali, non solo per le loro qualità ma perché comunicano tanto, danno una grossa mano in ogni frangente e trovano sempre le parole giuste per motivare la squadra, specialmente prima delle partite: è bello e rassicurante sapere di averli al nostro fianco».

Dopo la fondamentale vittoria sul Cagliari, vi aspettano Sampdoria, Venezia e Spezia: pur senza sottovalutare nessuno, siete consapevoli che è una bella occasione per consolidare la parte sinistra della classifica? «La nostra mentalità è ormai quella di considerare uguali tutte le partite, guardiamo a noi e non ci facciamo condizionare troppo dal valore degli avversari. Detto questo, sappiamo che con un filotto di risultati utili potremmo salire ancora e stabilizzarci nella parte medio-alta della classifica. Però pensiamo ad una gara per volta, senza perderci in calcoli e ragionamenti: adesso abbiamo la testa è sulla Sampdoria».

Nell’attesa di debuttare con la Scozia Under 21, alla Nazionale maggiore ci pensi? Certo, davanti c’è capitan Robertson… «Ovviamente sì, è un sogno ma anche un obiettivo, spero che quel momento possa arrivare presto: aspettiamo e vediamo… Intanto, durante l’ormai prossima sosta del campionato, andrò in Under 21 e cercherò di dare il massimo per mettermi in luce».

È proprio Robertson il tuo modello, il giocatore a cui ti ispiri, o ce ne sono anche altri? «Certamente lui è il mio riferimento principale: stessa posizione, scozzese e capitano della Nazionale, top player, titolare nel Liverpool campione d’Inghilterra e d’Europa, meglio di così… Però mi piace molto anche Tierney dell’Arsenal, altro mio connazionale e pari ruolo di notevole qualità».

Come procede l’ambientamento a Bologna e più in generale in Italia? La nostalgia di casa si fa sentire? In che modo occupi il tempo libero? «La città è splendida e ci sto benissimo, quindi non avverto particolarmente la lontananza da casa. Peraltro nei giorni scorsi è arrivata mia mamma e si fermerà circa un mese, mi fa piacere averla qui con me. Quando non sono a Casteldebole sto a casa a guardare Netflix, gioco un po’ alla PlayStation (sorride, ndr) oppure faccio un giro per negozi, cose normali».

Concludiamo con un saluto ai tifosi del Bologna, che finalmente sono tornati a popolare il Dall’Ara, e a quelli degli Hearts, che sui social continuano a seguirti con affetto. «Sono entrambe tifoserie fantastiche. Quelli del Bologna non ho potuto apprezzarli allo stadio nella scorsa stagione, a causa delle restrizioni, ma adesso ci sono e la loro presenza è determinante, ci danno un sostegno e una spinta incredibile dal primo all’ultimo minuto: chissà cosa accadrà col Dall’Ara a piena capienza… A quelli degli Hearts resterò legato per sempre, li ringrazio e gli mando un forte abbraccio, augurando tutto il meglio al club che mi ha cresciuto».

Simone Minghinelli

© Riproduzione Riservata

Foto: Imago Images