Mihajlovic:

Mihajlovic: “Non sono un eroe, solo un uomo che voleva tornare a respirare l’aria. Non si deve aver paura di piangere, ma non va persa la voglia di vivere. La squadra mi ha fatto incazzare, ora ci penso io…”

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Questa mattina, nella sala stampa dello stadio Dall’Ara, Sinisa Mihajlovic è tornato a parlare in pubblico dopo quattro mesi e mezzo da quel terribile 13 luglio, giorno in cui aveva annunciato al mondo l’inizio della sua battaglia contro la leucemia. Cappello e dolcevita rosso, giacca blu, l’allenatore del Bologna si è presentato con al suo fianco il Prof. Michele Cavo e la Dr.ssa Francesca Bonifazi dell’Istituto di Ematologia Seragnoli, oltre all’amministratore delegato del club Claudio Fenucci e al medico sociale Giovanbattista Sisca. Senza bisogno di ulteriori preamboli, insignificanti dinnanzi alla grandezza dell’uomo e del professionista, alla forza del suo racconto e all’importanza del suo messaggio, ecco tutte dichiarazioni rilasciate dal tecnico serbo. Anticipate da una sorpresa speciale…

All’improvviso entra tutta la squadra, e il capitano Blerim Dzemaili prende la parola: «Parlo a nome della squadra e dell’intero staff. Mister, dire che ci sei mancato è poco, siamo molto felici che tu sia tornato. Ci tenevamo a farti questa sorpresa: anche se adesso non sei tanto contento di noi, cercheremo di farti di nuovo contento. Grazie di essere tornato». La risposta di Sinisa, manco a dirlo, è impagabile: «Ma questi non dovevano essere in campo per l’allenamento? Incredibile, fanno di tutto pur di non allenarsi…».

Dottori e infermieri: angeli custodi – «Grazie a tutti di essere qui e della vicinanza che mi avete dimostrato negli ultimi quattro mesi, l’ho sentita. Mi sembrava giusto, dopo l’annuncio della mia malattia dato lo scorso 13 luglio, fare una conferenza insieme ai medici che mi hanno avuto in cura per spiegare il mio percorso, passato e futuro, e il mio stato di salute. All’Istituto di Ematologia Seragnoli ho conosciuto medici e infermieri straordinari: sono stato curato, supportato e sopportato, visto il mio carattere forte, tutti sono stati meravigliosi con me in un momento di enorme difficoltà fisica e psicologica. Ho capito subito di essere finito nelle mani giuste. Inizio i miei ringraziamenti partendo dal Prof. Michele Cavo e dalla Dr.ssa Francesca Bonifazi, che sono qui di fianco a me, quindi la Dr.ssa Marta Stanzani, che è sempre rimasta accanto a mia moglie, il Dr. Antonio Curti, grande tifoso del Bologna, che ha trovato la cura giusta per la mia patologia e che io chiamo affettuosamente ‘mano di cotone’, perché è delicatissimo nel fare una procedura dolorosa come l’aspirazione del midollo, poi tutti gli altri dottori e gli infermieri, a cominciare da Carmela Boscarino, donna tosta e leale con cui ho passato tante sere a parlare, il mio angelo custode (si commuove, ndr). Senza di loro non avrei fatto ciò che ho fatto, li ringrazierò per tutta la vita. Adesso mi asciugo le lacrime, anche se a dire il vero le ho quasi finite, ormai mi sono rotto le palle di piangere (sorride, ndr)».

Arianna, i figli, la famiglia e altri ringraziamenti speciali – «Ringrazio tutti quelli che mi hanno espresso la loro vicinanza in svariati modi, dalle lettere e i messaggi alle preghiere, e poi i pellegrinaggi, gli striscioni, i cori, all’interno del mondo del calcio mi sono sentito amato e protetto, come in una grane famiglia, è stato bello e commovente. Ringrazio i tifosi delle mie ex squadre e non, ma in particolare quelli del Bologna, che sono unici, mi hanno abbracciato come si abbraccia un figlio o un fratello. Ringrazio la società Bologna in ogni sua componente, dal presidente Saputo con i dirigenti fino ai magazzinieri, e poi ovviamente la squadra: tutti, fin dal primo istante, non hanno mai messo in dubbio né la mia permanenza qui né altro, sembrano cose comuni non lo sono. Ringrazio gli amici più stretti e, dulcis in fundo, la mia famiglia: mia moglie, che è stata tutti i giorni con me e mi ha mostrato una volta ancora, anche se non ce n’era bisogno, quanto sono fortunato ad avere accanto una donna così (si commuove, ndr), l’unica persona al mondo che ha più palle di me; i miei figli, la mia vita: i due ragazzi maggiorenni non hanno esitato un secondo a mettersi a disposizione per un eventuale trapianto di midollo, dandomi una grande dimostrazione d’amore, un’altra cosa che pare scontata ma non lo è affatto quando hai vent’anni e hai tutto il diritto di avere paura; mio fratello, anche lui sempre vicino e disponibile, e mia mamma, che mi ha seguito giorno dopo giorno dalla Serbia. Se ho dimenticato qualcuno mi dispiace, spero mi perdonerete».

Una boccata d’aria e un messaggio straordinario – «Sono stati quattro mesi tosti, rinchiuso da solo in una stanza d’ospedale, con l’acqua e l’aria filtrata, quando il mio più grande desiderio era di uscire fuori e prendere una boccata d’aria fresca ma non lo potevo fare. Però non mi sono mai sentito un eroe, solo un uomo, magari forte e che non si arrendere mai ma pur sempre un uomo, con le sue fragilità. Perché queste malattie non le batti solo col coraggio, servono i medici, servono le cure. E a tutti i malati di leucemia o con altre patologie gravi dico: non sentitevi meno forti se non riuscite ad affrontare la malattia come l’ho affrontata io, non vergognatevi di aver paura, di piangere, di essere disperati, ma non perdete mai la voglia di vivere (si commuove, ndr). Questa è una malattia bastarda, serve pazienza, non bisogna guardare troppo in là ma porsi obiettivi giornalieri: così facendo si può tornare a vedere il sole, ci possono essere delle complicazioni ma oggi esiste la possibilità di guarire. Io ho ancora paura, deve prendere tutto giorno per giorno, ad esempio in settimana ho diretto due allenamenti e poi ieri mi sono dovuto prendere un giorno libero per recuperare un po’ di forze, sono dimagrito prima 13 e poi 9 kg, e adesso devo prendere ben 19 pastiglie al giorno dal mattino presto fino a mezzanotte, certi bomboni… (sorride, ndr). Però preferisco fare così che per via endovenosa, perché in questo modo posso uscire, ovviamente sottoponendomi a controlli frequenti. Ho ripreso a mangiare in maniera abbastanza normale, anche se ho perso un po’ il senso del gusto e tra una bistecca e un pezzo di cartone non sento una grande differenza. Spero di venir fuori da questa esperienza come un uomo migliore: oggi mi godo ogni minuto di ogni giornata, tutto ciò che prima lo davo per scontato ora lo guardo con occhi diversi, esco e… Vi sembrerà una cosa da niente (si commuove, ndr), prendo una boccata d’aria, respiro: è bellissimo. Ma adesso basta parlare di leucemia e di Mihajlovic malato, parliamo di Mihajlovic allenatore del Bologna».

Attenti ragazzi, Sinisa è tornato – «Sapevo che, andando avanti, con la mia malattia avrei condizionato la squadra, la classifica, l’atteggiamento, le partite giocate: è normale. Ma non volevo che questo diventasse una scusa. Loro sanno quanto gli voglio bene, e io so quanto i ragazzi ne vogliono a me, ma senza dubbio mi aspettavo di più da loro. Io ho lottato ogni giorno contro cose bruttissime, ho cercato di esserci sempre anche con 40 di febbre, ho fatto sacrifici, quindi speravo di vedere anche sul campo la stessa forza, ma non sempre è stato così. Oggi, nonostante tutto, devo dire che sono incazzato nero, per i risultati, per il gioco, per l’atteggiamento della squadra, nei giorni scorsi ho già detto a tuti che da adesso in avanti bisogna dare il 200%, e credo abbiano già cominciato. Dobbiamo ritrovare unità e fare punti, non conosco altre strade, va ripresa quella dello scorso anno, e chi non lo farà avrà problemi con me. Che non è mai una bella cosa… Voglio rivedere il prima possibile il Bologna a cui eravamo abituati. Quando sono uscito dall’ospedale, mia moglie ha pubblicato una foto scrivendo una frase del mio amico Eros Ramazzotti: “Più bella cosa non c’è”. Una frase azzeccata per quel momento, per descrivere il mio ritorno ad una vita normale, diciamo così. Ora io ne voglio usare una di un altro grande della musica italiana, Vasco Rossi: “Eh già, io sono ancora qua”. E sarò ancora qua. Andrò avanti con le mie forze, cercherò di esserci ogni volta che potrò, perché il mio lavoro mi fa sentire vivo, anche se non posso esagerare: nella mia vita ho spesso ragionato di cuore, ora devo ragionare più di testa. Ma sono sicuro che metteremo le cose a posto».

Brutta prova contro il Parma – «Ormai i giocatori mi conoscono bene, immaginano già se sono contento o no. E dopo la gara col Parma non potevo esserlo, perché gli avevo chiesto una reazione e quella reazione non c’è stata. Mi sarei arrabbiato anche se avessimo vinto, perché il risultato è importante ma ancor prima io guardo la prestazione, e in quella di domenica scorsa non c’era nulla del mio Bologna».

Tutti importanti, nessuno indispensabile – «Non posso dire se sia già cambiato qualcosa o meno, fin qui avevo visto gli allenamenti quasi solo in televisione, e pur segnalando le cose positive e negative non era affatto la stessa cosa. In questi giorni ho visto la squadra allenarsi bene, come quando l’avevo lasciata, e per me è già una cosa molto importante. Come detto, adesso pretendo il 200% da tutti, altrimenti sono cazzi amari. Io non guardo in faccia nessuno: qui non abbiamo CR7 o Messi, tutti possono giocare o andare in tribuna. Voglio vedere giocatori che fanno quello che gli dico, magari anche sbagliando, chi non lo fa sta fuori».

Un abbraccio universale – «Prima della malattia ero abbastanza divisivo agli occhi della gente, o mi amavano o mi odiavano, ma con questa malattia ho percepito un affetto incondizionato da parte di tutti. Persino a Torino (sponda Juventus, ndr), dove di solito venivo fischiato e talvolta insultato, il pubblico si è alzato in piedi per applaudirmi. Sentire questo affetto e questo calore, per il professionista ma prima ancora per l’uomo, è davvero bello».

Calcio, coraggio, forza, vita – «Fin dal primo giorno dissi che avrei affrontato la malattia rispettandola ma guardandola negli occhi, e così ho fatto: mi sono chiuso in una stanza con lei e le ho detto: “Adesso vediamo chi vince”. Mi sono mostrato anche in condizioni impresentabili, a Verona ad esempio sembravo un morto che camminava e in certi momenti mi girava la testa, ma dovevo mantenere una promessa fatta ai miei giocatori. L’ho fatto per tutte le persone che mi hanno sostenuto, non li volevo deludere: in situazioni del genere ti viene da pensare prima agli altri, a chi ti vuole bene, e per ultimo a te stesso. Ma certamente l’ho fatto anche per me, perché volevo farlo, perché andare allo stadio è bellissimo e mi dà la forza per proseguire la mia battaglia. Come spiegavo prima, mi sono sempre dato obiettivi minimi, quotidiani, avvicinandomi con pazienza ad ogni uscita dall’ospedale. Ma una volta a casa, specie negli ultimi giorni prima del rientro, quasi non vedevo l’ora di tornarci, per avvicinarmi sempre di più alla fine dell’incubo. Poi lo so, lo hanno spiegato bene i medici, il percorso non è ancora finito, ma oggi per me è già una fine perché sono fuori da quel cazzo di ospedale!».

Ibra, ci stai? – «Con Zlatan ci siamo parlati un mese fa e poi una decina di giorni fa. Vediamo quello che succede, lui sicuramente è interessato e verrebbe per me, per amicizia, ma ha anche altre soluzioni. Siamo d’accordo che prima di comunicare la sua decisione definitiva mi chiamerà per farmela sapere, ma credo non accadrà prima del 10 dicembre. Nei prossimi giorni ci sentiremo ancora, per il momento è tutto in standby».

Ritorno graduale alla normalità – «Per almeno un mese dovrò fare due-tre controlli a settimana. Adesso posso andare al centro tecnico, senza però rimanere troppo al chiuso con tante persone e comunque mettendo la mascherina, e dirigere gli allenamenti, purché non piova e coprendomi sempre bene. Devo anche evitare il sole forte, ma non è questo il periodo. Lo stadio per ora no, è proprio il momento di diffusione dei virus influenzali e sarebbe rischioso, inoltre non posso sostenere trasferte troppo lunghe: niente treno o aereo, sempre per il fatto di non poter stare in mezzo alla gente, mentre il viaggio in macchina sarebbe troppo stancante. Dunque niente Napoli, ma questo non significa che non possa esserci al Dall’Ara per almeno uno dei due match contro Milan e Atalanta, vedremo man mano. Ora penso a mangiare e a riprendere peso, in attesa di tornare in Serbia durante la sosta natalizia, lì ci penserà mia mamma a farmi tornare almeno 80 kg (sorride, ndr)».

Una figura insostituibile – «È stato inusuale e difficile lavorare così: la società mi ha messo a disposizione di tutto e di più, ho sempre potuto parlare con giocatori e staff e intervenire anche live durante gli allenamenti, ma non ero là, e questo fa la differenza. Sapevo che il gruppo avrebbe fatto il massimo per rendermi soddisfatto, ma come detto temevo che alla lunga sarebbe successo ciò che in effetti è successo. Adesso sto gradualmente tornando alla normalità e potrò essere più presente, sono certo che le cose torneranno come prima. In questi giorni ho visto che il livello si sta alzando, e poi i ragazzi lo sanno: sono liberi di fare quello che gli dico io».

Un mese di lotta e isolamento – «Dovendo rimanere sdraiato, tra chemio e flebo varie, dalle 6 del mattino fino a mezzanotte, le mie uniche distrazioni erano leggere, guardare film e soprattutto seguire gli allenamenti: facendo il mio lavoro mi sentivo vivo. L’ultima riunione con la squadra è stata dopo Bologna-Sampdoria, lì ho comunicato ai giocatori che l’ultimo ciclo di chemio sarebbe stato molto più pesante in previsione del trapianto. E infatti poi non li ho più sentiti per tre settimane, avevo sempre la febbre a 39-40, sembravo un ebete, non ero in grado. Ora mi sono ripromesso di incazzarmi meno ma mi sono accorto che non ce la faccio, forse con tutta la pazienza che ho portato sono diventato più cazzuto di prima (ride, ndr)».

Le domeniche in ospedale – «Chiedete alle infermiere, che avevano timore ad entrare nella stanza per i controlli, si sentivano le mie urla ovunque… (ride, ndr). Non vedevo l’ora che arrivasse la domenica per vedere la squadra all’opera, il periodo più duro è stato quello estivo perché non c’era un cazzo fare, nessuna partita da vedere, niente… Qualche volta abbiamo giocato bene, qualche altra meno, ma se non hai un allenatore che ti sta sempre col fiato sul collo penso sia normale, nel complesso i ragazzi hanno fatto anche abbastanza. Io però non mi accontento, voglio di più».

VAR e polemiche – «Il VAR è utile, ma certe situazioni relative ad esempio ai falli di mano non sono chiare, non le capisce, forse non sono abbastanza intelligente io. Quando un nostro avversario tocca la palla di mano trovano sempre mille giustificazioni, agli altri i rigori li fischiano. Se non altro sul fuorigioco la macchina non sbaglia, almeno una cosa l’abbiamo risolta. Nel complesso io con tento, lo ritengo uno strumento utile, ma bisogna fare regole meno complicate, per capirne alcune ci vuole in ingegnere nucleare (sorride, ndr)».

Anonimo salvatore – «Sì, ci terrei a sapere chi è, perché donare un organo non è una cosa da tutti, è un gesto speciale. Però purtroppo non si può, deve restare anonimo. Comunque scriverò una lettera e tramite i canali consentiti gliela farò arrivare».

Fratello Miroslav – «Io e Tanjga siamo amici da una vita, abbiamo prima giocato e poi lavorato insieme, è come un fratello e soprattutto è una persona che capisce di calcio, anche perché ha giocato ad alti livelli. Lui mi dice sempre cosa pensa, e a me piace la gente diretta, può dire una cosa giusta o sbagliata ma mi fa sempre riflettere. Anche da lui mi aspettavo di più, gliel’ho spiegato, forse doveva incazzarsi di più ma capisco che non è facile, perché questo è un gruppo di bravi ragazzi. Tutto lo staff, comunque, ha lavorato bene, con impegno e passione, e credo lo abbiate visto. Talvolta, purtroppo, alcune cose non si riescono a mettere in pratica».

Mancini, rapporto recuperato – «Col Mancio non parlavo da quasi quattro anni per una cosa nostra, ma quando ho annunciato la mia malattia è stato tra i primi a chiamarmi e abbiamo riagganciato l’amicizia. Ora è tornato tutto come prima, ci sentiamo spesso per confrontarci sia sul Bologna che sulla Nazionale: sono molto contento di aver rimesso a posto il rapporto. Credo che la mia sia un’età in cui è difficile farsi nuovi amici, quindi bisogna tenersi stretti quelli che si hanno già».

Un mondo di affetto – «Tanti gesti che ho ricevuto mi hanno fatto piacere, penso ad esempio ai disegni che molti bambini hanno fatto per me. Mi interessava il messaggio, non da chi proveniva, fosse Salvini, Renzi, Ramazzotti o appunto un bimbo che veniva per lasciarmi un suo pensiero».

Come a Brescia nel secondo tempo – «La visita dei ragazzi di ritorno dalla partita è stata una bella sorpresa, anche se sono venuti a ripulirsi la coscienza (ride, ndr). Scherzi a parte, credo che senza il rosso a Dessena non avremmo vinto quella partita, però siamo anche stati bravi perché non è scontato sfruttare la superiorità numerica e segnare tre gol in meno di un tempo, infatti a Verona avevamo pareggiato con un uomo in più per quasi 80 minuti».

Panchina d’Oro: sì, però… – «Il premio in Serbia è stato un bel riconoscimento, sento che se ne parla anche qui in Italia ma voglio dire una cosa: lo accetterei solo se fosse per il mezzo miracolo fatto l’anno scorso alla guida del Bologna, non perché sono malato. Se il motivo è quello, non mi serve, se invece è per meriti sportivi allora lo prendo molto volentieri».

Foto: bolognafc.it