Orsolini:

Orsolini: “Mihajlovic il primo a capire la mia importanza in squadra, Motta è contento della mia fase difensiva. Amo il calcio come quando giocavo sotto casa”

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Ieri Riccardo Orsolini, attaccante del Bologna e della Nazionale, è stato ospite di Lost in the Weekend, appuntamento settimanale di DAZN. Il numero 7 rossoblù, con la simpatia che lo contraddistingue, ha risposto a diverse domande, spaziando tra passato e presente: di seguito, suddivise per argomenti principali, tutte le sue dichiarazioni.

La genesi di ‘Orsonaldo’ – «Il soprannome ‘Orsonaldo’ è nato per gioco, come presa in giro verso me stesso. dato che sono autoironico. Ai tempi di Ascoli calciavo le punizioni allargando le gambe come Cristiano: segnavo spesso, quindi hanno iniziato a chiamarmi così. Ho provato a tener nascosta questa cosa, ma dopo anni è tornata fuori (ride, ndr)… Poi con Ronaldo ci ho anche scambiato la maglia, ne ho ben due: è stato emozionante, sono quei giocatori che da piccolo vedi in televisione e provi ad emulare al campetto con gli amici. Ora sono partite le abbreviazioni, mi chiamano ‘Naldo’… Una follia, era così bello ‘Orso’, così tranquillo (ride, ndr). Esultare come CR7? L’ho fatto! Non ero professionista ma ancora nella Primavera dell’Ascoli».

Uomo spogliatoio – «Quella è una conseguenza del mio carattere: se gioco nelle Prime Squadre da quando avevo 16-17 anni e non ho mai litigato con un compagno, un motivo ci sarà. Devo far vedere la parte migliore, quando sono nel mio ambiente non posso essere preso male. L’altro giorno mi ha fatto ridere un bambino che ho incontrato per strada, mi ha detto: “Ma tu sei Orsolini! Non dovresti stare dentro la televisione?”. Quasi come fossi un cartone animato (ride, ndr)».

Come Peter Pan – «Mi ci rivedo in parte, perché cerco di portare in campo il me bambino che amava e ama questo sport in maniera incondizionata: la spensieratezza, l’ingenuità del ragazzino che gioca sotto casa».

Gli inizi ad Ascoli – «Vestire la maglia dell’Ascoli era il mio sogno da bambino, quando ero piccolo il club militava in Serie A: ho sempre giocato con loro fin dall’età di 8 anni. Nel 2006 in un Ascoli-Fiorentina diedi la mano a Dainelli, poi ci ho giocato contro, per dire com’è il calcio… Ho fatto tutta la trafila e da lì ho capito che tra i grandi potevo starci. I miei compagni rosicavano un po’ perché sotto la tribuna c’era la mia immagine e non la loro (ride, ndr). Dopo sono cresciuto e mi ha acquistato la Juventus…».

Un bianconero più pesante – «Il giorno del mio arrivo a Torino sembrava che stessi male, ero bianco come la carta, secco… Poi non andò come previsto e capii subito che in quel momento non potevo competere a certi livelli. Venivo da Ascoli, dove avevo fatto bene, nella mia testa non pensavo di giocare tanto ma comunque mi sentivo forte. Quella però era la Juve della finale di Champions a Cardiff, così pensai che se la Serie A era così io non potevo giocarci. Allora andai in prestito all’Atalanta ma non cambiò granché: dopo poche presenze, a gennaio mi resi conto che non c’era spazio per me, allora cercai qualcuno che mi voleva. E c’era il Bologna».

Lo sbarco sotto le Due Torri – «Primo febbraio del 2018, arrivo di sera, la mattina dopo mi sveglio e vedo due metri di neve. Lì è iniziata l’avventura bolognese, ma la prima stagione l’ho chiusa con zero reti. Ero frustrato, però ho resettato subito e sono ripartito. Poi per fortuna è arrivato Sinisa e da lì è partita la scalata. Spero di scrivere altre belle pagine in rossoblù».

Professor Motta – «Il mister mi chiede di comprendere bene le situazioni di gioco, le solite cose insomma. Di recente mi ha fatto i complimenti per l’applicazione e l’impegno che sto mettendo in fase difensiva: non mi piace troppo farlo, ma non devi fare solo quello che ti piace».

Mihajlovic nel cuore – «Ricordo le ‘bisticciate’ tra noi: in realtà erano dei confronti pacifici, anche se a dire il vero con Sinisa non erano mai pacifici fino in fondo per via dei suoi modi bruschi (sorride, ndr). Magari sbroccava, poi un attimo dopo ti guardava e rideva: stranissimo. Lui non era uno che le mandava a dire, io nemmeno, e certe volte non eravamo d’accordo su qualcosa. Però è stato il primo allenatore che ha capito veramente la mia importanza all’interno della squadra, e con lui ho raggiunto la Nazionale. Era un grande uomo Sinisa, senza dubbio».

Bolognese doc – «Sì, credo che ormai si possa definirmi così».

Stesso Riccardo anche in azzurro – «Il contesto è un po’ diverso ma sì, sono sempre io».

Per Bastoni è ‘Mbapporso’ – «Avanti, esageriamo, ormai è un’esplosione (ride, ndr)».