Signori:

Signori: “Dopo dieci anni sono rinato, ora vorrei allenare. A Bologna trovai un ambiente fantastico e portammo i colori rossoblù in giro per l’Europa”

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Nell’11^ puntata di Bfc Week, il nuovo appuntamento settimanale di Bfc Tv che racconta il Bologna a 360 gradi, Gloria Gardini ha intervistato Giuseppe Signori, attaccante da 84 reti in maglia rossoblù e uno degli ultimi veri idoli della piazza. Il bomber ha aperto alle telecamere del club felsineo le porte della sua casa e ha affrontato diversi temi, tra cui le vicissitudini giudiziarie che lo hanno visto coinvolto negli ultimi dieci anni, fortunatamente concluse con la piena assoluzione in tribunale e la riabilitazione sportiva da parte della FIGC. Ecco le dichiarazioni di Beppegol:

La rinascita – «Ho attraversato dieci anni molto duri, ma non direi che sto vivendo questi ultimi sviluppi come una rivincita: per me è una rinascita, così come quando da calciatore sono passato dalla Sampdoria al Bologna. Evidentemente questa città continua a portarmi bene: dopo avermi fatto rialzare come giocatore, ora mi fa ripartire anche come uomo».

Dieci anni di calvario – «Il 1° giugno 2011 sono stato arrestato e a lungo ho ricordato quella data solo per quel motivo, poi il 1° giugno 2021 è arrivata la grazia e mi ha fatto scacciare i pensieri negativi. Voglio ringraziare chi in questo lasso di tempo ha creduto in me e mi è stato vicino, in particolare mia moglie, i miei figli, i miei genitori, i miei amici e ovviamente il mio avvocato. Riguardo ai miei figli, dieci anni fa gli avevo detto che sarebbero stati fieri non del calciatore che ero stato ma dell’uomo che sono: oggi è effettivamente così e questa per me è una grande vittoria».

Un patentino da rispolverare – «Uno dei risvolti più negativi di questa vicenda è che per dieci anni non ho potuto fare nulla, avevo appena conseguito il patentino da allenatore e l’ho dovuto lasciare nel cassetto. Ora mi auguro di poter ricominciare al più presto, anche se quando rimani fuori per tanto tempo è difficile rientrare. Ho una grande spinta, perché questi anni sono stati interminabili, però non mi piace piangermi addosso: voglio reagire a quello che mi è successo e ricominciare a vivere. Ho lo stesso spirito da combattente che mettevo in campo, per cui spero di avere la possibilità di ripartire perché mi manca l’odore dell’erba».

L’assist di Baggio – «Nel 1998 venivo dal periodo più brutto e più basso della mia carriera. Ero in crociera quando mi telefonò Cinquini (l’allora d.s. rossoblù, ndr) per propormi di vestire la maglia del Bologna, io naturalmente accettai e ricordo che inizia ad allenarmi a Casteldebole il 4 luglio sotto un sole cocente, perché ero reduce da un’operazione all’ernia del disco e dovevo rimettermi in forma. So che non dovrei dirlo ma è stata una scommessa (sorride, ndr), del club ma anche mia. Roby Baggio mi aveva raccontato di essere riuscito a tornare su alti livelli proprio a Bologna perché c’erano le condizioni ideali per farlo, così accettai con grande entusiasmo e voglia di rimettermi in gioco».

Un gruppo straordinario – «Non mi scorderò mai di quando Mazzone disse alla squadra: «Siete in 25, non riuscirò mai a capirvi tutti, per cui cercate voi di capire me che facciamo prima» (sorride, ndr). Eravamo un gruppo fantastico, c’era gente che dava davvero tutto per la maglia. In quegli anni conquistammo due semifinali, una di Coppa Italia e una di Coppa Uefa: un risultato eccezionale. Fu un periodo in cui assieme ai nostri tifosi iniziavamo a far circolare il nostro nome e i nostri colori in giro per l’Europa: penso ad esempio alle trasferte di Lione, Marsiglia e Siviglia. Ci divertivamo tanto, ci trovavamo talmente bene che ci veniva tutto naturale. Ancora oggi sono in contatto praticamente con tutti i miei ex compagni, da Pagliuca a Paramatti passando per Binotto ma anche Kolyvanov e Andersson, seppur con qualche difficoltà data dalla distanza».

Bolognese doc – «Mi sono innamorato subito di Bologna, ho comprato casa pochi anni dopo essermi trasferito qui. A quei tempi era una città che offriva la possibilità di uscire e fare tardi ma anche di far vivere con tranquillità i propri figli, e anche se oggi è cambiata un po’ resta una città a misura d’uomo. I bolognesi mi avvicinavano con grande affetto, stima ed educazione, il feeling è scattato subito. La squadra otteneva buoni risultati, per cui ho avuto la possibilità di girare tanto e conoscere molto persone. Ormai sono qui da 23 anni, ho deciso di restarci e mi considero bolognese a tutti gli effetti. Un lato negativo della città? Se proprio devo trovarlo, il clima (sorride, ndr)».