Bologna, adesso è il momento di restare uniti. Ma anche di svoltare, una volta per tutte

Bologna, adesso è il momento di restare uniti. Ma anche di svoltare, una volta per tutte

Tempo di Lettura: 4 minuti

L’ultima volta che mi sono ritrovato a scrivere un pezzo simile, un richiamo alla compattezza, un grido di battaglia, era il 7 marzo 2019, pochi giorni prima di Bologna-Cagliari. I rossoblù arrivavano da tre sconfitte di fila (Roma, Juventus e Udinese), il patron Joey Saputo non si vedeva in città da diverso tempo (tanto che qualcuno propose addirittura una colletta per pagargli il biglietto aereo) e sulla piazza serpeggiava il timore che neppure la mano taumaturgica di Sinisa funzionasse più. Fu vittoria, un 2-0 firmato Pulgar e Soriano, e a fine stagione fu salvezza (e decimo posto): qualche punto in comune con la situazione attuale c’è, ma non è per scaramanzia che oggi mi sono messo davanti al computer.
È da tanto che ho sospeso il mio giudizio sul Bologna, o meglio, è da tanto che mi viene difficile sbilanciarmi sulla squadra, perché quanto accaduto dal 13 luglio 2019 in poi mi ha toccato profondamente, anche per tragiche ragioni personali sulle quali non mi sto a dilungare. Era tornato l’entusiasmo, si stava delineando un mercato scoppiettante (circa 60 milioni spesi tra riscatti e nuovi acquisti, denaro proveniente da Montreal) e il BFC pareva davvero sul punto di effettuare il tanto agognato salto di qualità. Poi, all’improvviso, il buio. E una volta tornata la luce, dopo tutti gli sforzi fatti da un lato per sopravvivere e dall’altro per far sì che il gruppo non perdesse la bussola (la classifica giustificava qualche piccolo sogno europeo), ecco un’altra pennellata di nero, stavolta a livello globale: la pandemia di COVID e il lockdown totale.
Sì è vero, forse sto tornando troppo indietro e ha poco senso, adesso c’è da pensare a Ibrahimovic e Theo Hernandez. Sono consapevole che non si possa restare aggrappati a lungo al passato, infatti mi sforzo ogni giorno di guardare (quasi) solo avanti. Ma so anche che il passato non si cancella e, purtroppo o per fortuna, merita rispetto. Forse sotto le Due Torri ci si è dimenticati con eccessiva fretta che lo spogliatoio di Casteldebole non è composto da robot, ma da ragazzi e uomini che nell’ultimo anno e mezzo, pur nella loro condizione di assoluto agio, ne hanno viste e vissute tante. E che quella società ‘brutta e cattiva’ che oggi non regala un nuovo centravanti a Sinisa è la stessa che non lo ha mai abbandonato, né umanamente né professionalmente, nel momento più delicato della sua esistenza.
Venendo alla stretta attualità, non ci si può dimenticare nemmeno come gran parte del girone d’andata 2020-2021 sia stato affrontato dai felsinei in totale emergenza. È qualcosa che va ben al di là della mancata sostituzione di Bani la scorsa estate (peccato originale che secondo qualche fantasioso ragionamento legato al karma avrebbe poi presentato il conto al d.s. Riccardo Bigon), qui si parla di una rosa falcidiata nel vero senso della parola. Facile obiezione: è capitato anche ad altri club. Beh, io preferisco guardare in casa mia, dove appunto gli infortuni (alcuni anche molto seri) sono andati a colpire un organico sì giovane ma già bello spremuto, soprattutto sul piano mentale, da un’annata in cui si è parlato più di vita e di morte che di pallone. Ecco, in altri club questo non è successo, e speriamo non succeda mai.
Da circa due settimane, finalmente, la normalità è tornata ad abbracciare Casteldebole, e sarà un caso che la possibilità da parte del tecnico di schierare la formazione titolare e di avere cinque cambi ‘veri’ sia coincisa con due prestazioni convincenti contro Verona e Juventus, non esattamente due squadrette (per diverse ragioni). Non è ancora riapparso ‘il Bologna di Mihajlovic’, quello che ci faceva spellare le mani a forza di applausi ogni weekend, ma i rossoblù sembrano aver imboccato nuovamente la strada giusta. È poi evidente che se al sesto anno di gestione Saputo siamo qui a guardarci le spalle, dopo aver girato a 20 punti, qualcosa non ha funzionato a dovere e poteva essere fatto meglio. Da tutti, nessuno escluso. E, per inciso, io un centravanti di scorta da qui a lunedì lo inserirei comunque in rosa, visto che Palacio ha ormai 39 anni, Barrow si sta calando solo ora nel ruolo e questo campionato pullula di imprevisti. Giusto per sottolineare che non vivo nel Paese delle Meraviglie e non mi faccio andar bene qualsiasi cosa.
Però, appunto, so da dove arriviamo e anche dove forse avremmo potuto essere, senza tutti gli ostacoli appena elencati. Ma so anche che Mihajlovic un taglio netto col passato l’ha dato nei giorni successivi all’eliminazione dalla Coppa Italia per mano dello Spezia, parlando così in conferenza stampa (era il 28 novembre): «Con questi ragazzi ho un rapporto diverso rispetto a tutti gli altri che ho allenato in carriera, per quello che ho vissuto e per ciò che mi hanno dato. Loro però hanno superato il limite: da oggi non perdono più nulla, si riparte da zero. Ma la colpa è mia, dovevo essere più duro in certe situazioni, invece cercavo sempre di trovare un alibi per loro, anche inconsciamente». Io a questo taglio ci arrivo oggi, alla vigilia di una missione sulla carta proibitiva ma non impossibile. Memore di ciò che è accaduto ieri ma concentrato solo su ciò che accadrà a partire da domani, senza più attenuanti. Tenendo comunque accesa la speranza, forse vana, che almeno per un po’ ogni ‘ascia di polemica’ venga sepolta, perché non è vero che nel BFC fa tutto schifo e che gli altri sono sempre e per forza migliori di noi.
Ora la palla passa a Sinisa, Rodrigo, Roberto, Musa, Takehiro e tutti gli altri: sta a loro far svoltare la stagione e dimostrare, coi fatti, che ultimamente a Bologna ci si sta preoccupando e si sta criticando troppo. C’è in ballo una salvezza, possibilmente serena e coronata da qualche bella soddisfazione, ma anche la credibilità di un progetto che, sul piano tecnico, è chiamato finalmente a decollare.

Simone Minghinelli

© Riproduzione Riservata

Foto: Getty Images