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Costa: “Periodo di riflessione e cambiamento, il calcio faccia la sua parte. Saputo presidente coerente e affezionato, ora chi arriva a Bologna sa di essere in un grande club”

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Il difficile momento attraversato non solo dall’Italia ma da tutto il mondo, scosso e attanagliato dall’emergenza Coronavirus. Il futuro dello sport e in particolare del calcio, tra polemiche e ipotesi sulla ripartenza e la conclusione dei campionati. La voglia di riabbracciare il Bologna, tornato a far divertire una città intera sotto la guida di Sinisa Mihajlovic, con uno sguardo anche al mercato. L’analisi della gestione Saputo, dalle difficoltà iniziali alle soddisfazioni attuali. Di questo e di molto altro abbiamo parlato oggi con il grande cuore rossoblù Diego Costa, giornalista e collaboratore di Repubblica.

Diego, quanto ti manca lo sport, sia da vedere che da raccontare? «Manca moltissimo a tutti quanti, ma la razionalità ci dice che in questo periodo le priorità sono altre. Lo sport ci manca come valvola di sfogo, come divertimento, come affetto e passione, ma compatibilmente con quello che sta accadendo in Italia e nel mondo dobbiamo capire che adesso è il problema minore».

Pensi che in questa stagione qualche pallone tornerà a muoversi? «Fino a poco tempo fa ero fiducioso, adesso lo sono decisamente meno, vedendo in particolare le mosse di alcuni sport: il rugby italiano, ad esempio, ha già annullato i campionati, il basket sembra andare in quella direzione, mentre nel tennis è stata cancellata anche la stagione su erba dopo quella su terra. Quindi i dubbi sulla ripartenza del calcio e di altre discipline aumentano».

Il ministro Spadafora pretende che la Serie A scenda dal suo piedistallo, la Lega risponde sottolineando il proprio peso sullo scenario economico nazionale: sotto questo aspetto ha senso voler equiparare il calcio, specie il massimo campionato, agli altri sport? E soprattutto, l’Italia è pronta per un passo del genere? «Il calcio viene considerato dagli altri sport il ‘fighetto’ di casa, lo sappiamo bene, e spesso sottolineiamo come specialmente quello di Serie A viva in un’altra dimensione. Ebbene, le recenti uscite di certi presidenti ce lo confermano: sciagurate e fuori dalla realtà, per non dire di peggio. La situazione attuale dovrebbe portare tutti, nessuno escluso, a riflettere sulla vita, sul futuro, sul mondo che verrà, su quello che vogliamo per i nostri figli e nipoti. La storia e la nostra stessa esistenza ci stanno dicendo qualcosa: è venuto il momento di tirare le somme e cambiare le nostre abitudini. Molti di noi ‘comuni mortali’ stanno iniziando a farlo, sarebbe inaudito se non lo facesse il calcio. Chi si pone come vittima davanti a vittime reali, chi guarda solo al proprio orticello e non riflette sul domani, dovrebbe vergognarsi. Questa lotta contro il virus, contro il male e il dolore, deve portarci ad avere una prospettiva sul lungo periodo, un po’ come accadde durante il Secondo dopoguerra, che generò la fase più bella del Novecento per l’Italia. Ha il dovere di farlo la classe politica, mettendosi al tavolo e superando per un volta le posizioni ideologiche al fine di costruire un mondo più degno, hanno il dovere di farlo i cittadini, e quindi anche lo sport deve fare la sua parte, calcio in primis».

Sì, no, forse: come giudichi l’atteggiamento di Tommasi e dell’Assocalciatori a proposito del possibile taglio agli stipendi? «Probabilmente Tommasi sta ricevendo pressioni dai giocatori di prima fascia, ma se fossi in lui e nell’AIC penserei soprattutto a tutelare i ragazzi delle serie inferiori. Anzi, i calciatori di A, specie quelli di alto livello, dovrebbero essere i primi a non dimenticarsi dei loro colleghi più colpiti sul piano economico da questo blocco. Già in Serie B ci sono situazioni traballanti, molto più di quello che il tifoso medio immagina, figuriamoci in C e nel mondo dilettantistico, che di questo passo farà una fatica enorme a rialzarsi».

Se i campionati non si potessero concludere regolarmente, saresti favorevole all’ipotesi playoff/playout? E con i vari scudetti come la mettiamo? «Lo scudetto è un bel punto di domanda, nel calcio ancor più che in altri sport abituati alla formula dei playoff, come il basket. Vista la precarietà del momento, ritengo che gli spareggi possano rappresentare una soluzione, anche se capisco perfettamente che ci sarebbero ostacoli normativi e pareri contrastanti da superare. In tempo di guerra ci furono campionati e titoli pesantemente condizionati da quanto stava succedendo nel mondo, in tal senso la situazione odierna è simile e ha spiazzato tutti, quindi credo si possa prendere in considerazione qualche ipotesi fuori dall’ordinario. Io sono un appassionato di baseball e mi auguro che la stagione 2020 possa disputarsi quantomeno con una formula ad eliminazione diretta tra le squadre partecipanti, chiudendo magari con un piccolo girone all’italiana tra le quattro migliori. Ecco, questa potrebbe essere un’idea anche per il calcio, ripartendo dalla classifica che si era generata prima dello stop. Gli interrogativi più grandi rimangono però quelli sulla condizione psicofisica dei giocatori. Recupereranno uno stato di forma accettabile? Quanto ci metteranno a ritrovare il ritmo partita? E quanto saranno condizionati sul piano mentale? È molto difficile rispondere».

Lo stop ha interrotto vari sogni, vedi quelli di Lazio e Atalanta, ma ha anche congelato l’entusiasmo rossoblù, esploso nuovamente da un anno a questa parte… «Nei giorni scorsi ho risposto ad un sondaggio in cui si chiedeva quanto ci manca il Bologna. Tanto, soprattutto la partita, la gioia di andare al Dall’Ara, l’esultanza dopo un gol, ma in fin dei conti il Bologna c’è anche adesso e ci sarà sempre. Restando in tema virus, noi bolognesi abbiamo gli anticorpi per superare le situazioni di precarietà e difficoltà, è un nostro tratto distintivo, a differenza di altri club nessuno ci ha mai regalato niente. Dunque facciamo finta che la nostra passione sia un bel surgelato, mettiamolo in freezer affinché non scada e stiamo pronti a tirarlo fuori: non appena si scioglierà il ghiaccio, il cuore rossoblù tornerà a battere».

Qual è la caratteristica che ami di più del Bologna di Mihajlovic, e quale invece l’aspetto che ti convince di meno? «Le due cose sono collegate tra loro. Mi piace tanto la personalità della squadra, la voglia di imporsi sempre e comunque, è il marchio più evidente della gestione Mihajlovic. Tutto ciò è anche ricollegabile al discorso precedente sull’emergenza sanitaria, nel senso che quest’anno l’ambiente rossoblù è già stato in grado di uscire a testa alta da un periodo complicato, con un continuo interscambio di forza e stimoli tra i giocatori, la tifoseria e Sinisa, impegnato in una partita ben più importante. Di contro, vorrei che talvolta questa esuberanza mentale, questa spavalderia, fosse un po’ più equilibrata e venisse dosata meglio, specie quando si affrontano compagini oggettivamente più forti. Comunque, facendo un bilancio complessivo tra benefici e svantaggi, direi che non possiamo lamentarci».

Hai un giocatore preferito, un pupillo? «Premessa: la principale virtù del Bologna attuale sta nel suo saper lavorare benissimo di squadra, coinvolgendo tutti in entrambe le fasi, senza dipendere da qualcuno in particolare. A livello di singoli, quando acquistammo Bani fui molto contento perché per costo, caratteristiche e capacità lo consideravo un rinforzo ideale, visto che mi piace ragionare di obiettivi realistici. Anche se ammetto che lo scorso gennaio un pensierino a Ibrahimovic l’avevo fatto, coltivando addirittura un sogno Icardi in prestito per sei mesi quando sembrava che potesse rimanere fuori rosa all’Inter. Comunque, se devo individuare un giocatore particolarmente prezioso nello scacchiere di Sinisa dal punto di vista strategico, dico Soriano. Invece il mio beniamino, e ci ha messo poco per diventarlo, è Barrow: fortissimo».

Cosa manca a questo organico per puntare concretamente all’Europa League? «Resto convinto che servano due esterni bassi coi controfiocchi, di assoluta affidabilità. Innanzitutto non dimentichiamoci che Tomiyasu, adesso molto reclamizzato perché effettivamente ha un potenziale davvero notevole, da terzino è pur sempre adattato, spesso le sue chiusure in fascia sono difficoltose. Mbaye, che Mihajlovic ha avuto il merito di recuperare, si trova a suo agio solo in fase difensiva, mentre in quella propositiva è limitato. Invece Dijks, che fisicamente speriamo possa tornare ad essere quello di prima, è un po’ il caso opposto, grande spinta e qualche problemino in copertura. Stando a quello che leggo, poi, auspico il ritorno di Lyanco, che mi piace tantissimo: lui, Tomiyasu, Bani e Danilo, se come sembra quest’ultimo rinnoverà il contratto, formerebbero un ottimo pacchetto di centrali».

Tu che l’hai sempre sostenuto, difeso o comunque criticato in maniera costruttiva, quanto sei felice che il progetto di Saputo stia finalmente decollando? «La storia di Saputo da presidente del Bologna è in linea con quella da imprenditore. Voleva partire da una quota minoritaria per creare una partnership con i Montreal Impact, poi gli è stata proposta la maggioranza e ha deciso di rilevare l’intera società. Da lì in poi non ha mai fatto il passo più lungo della gamba, esattamente come suo padre e la sua famiglia, che hanno iniziato da una piccola operazione e un passo per volta si sono ingranditi fino a diventare il colosso attuale. Qui ha dovuto fare i conti con una piazza ricca di storia, tradizione e passione che negli anni precedenti era stata maltrattata, e con il peso del passato: tocca a tutti, dalla scrivania al campo, se è vero che ancora oggi i nostri centravanti vengono paragonati a Nielsen… Nei primi anni di gestione ha sempre raffreddato i facili entusiasmi e allontanato i nomi altisonanti, spesso attraverso l’a.d. Fenucci che gli ha fatto da scudo e si è attirato gli strali dei tifosi più accaniti, intanto però il percorso di crescita è andato avanti e ora lo scenario è cambiato anche in tal senso. Vedi il triennale a Mihajlovic e l’acquisto di Barrow, solo per fare due esempi».

Qualcuno nutriva dei dubbi in merito, ma Saputo tiene veramente sia al Bologna che a Bologna, non è solo una questione di soldi. «La conferma viene da quel famoso 27 gennaio 2019, subito dopo Bologna-Frosinone 0-4: non so quanti altri presidenti, anche più radicati o magari originari proprio di quella città e tifosi da sempre del loro club, avrebbero dato un segnale del genere. Per descrivere Saputo faccio un parallelo con un signore che qui abbiamo contestato, anche se aveva meno frecce al suo arco, ovvero Roberto Donadoni, non esattamente un allenatore che si lancia sotto la curva e mostra il pugno. Saputo è un po’ così, mantiene i toni bassi e un profilo defilato, ecco perché quando si è giocato la carta del confronto faccia a faccia con i tifosi ci ha lasciato di stucco e ci ha colpito in positivo. Quel gesto dobbiamo riporlo in un cassetto della nostra memoria e non dimenticarlo mai, fino a prova contraria. Ma da lì in avanti non ci sono state mosse in controtendenza da parte sua e della dirigenza, è stato tutto di una coerenza straordinaria».

Una coerenza sostenuta da investimenti sempre più cospicui e mirati per rinforzare la squadra, puntando in particolare sui giovani. «Quando vedi sbocciare un fiore che si chiama Schouten non puoi che esclamare: “Caspita!”. Sembrava un acquisto come tanti, passato un po’ in sordina, e invece è uno di quei talenti di cui sentiremo parlare. Ovviamente nel prossimo futuro scatteranno le sirene di mercato, sia per lui che per altri nostri ragazzi, ma credo che mai come adesso i giocatori del Bologna sentano di essersi legati ad un club importante e vogliano rimanere. A livello caratteriale, inoltre, non penso ci siano degli altri Diawara in rosa, con tutto il rispetto per Diawara».

Si potrebbe dire lo stesso di qualcuno che adesso è a Firenze. «La punzecchiata finale non la riservo a lui ma a Ibañez. Sono felice che abbia sposato l’ambizioso progetto Roma, come ha spiegato il d.s. Petrachi, e non vedo l’ora di ammirarlo in campo nel 2022. Qui avrebbe fatto il titolare fin da subito: peccato, soprattutto per lui».

Simone Minghinelli

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