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Dossena: “Stare a sinistra è l’obiettivo massimo del Bologna attuale, doveroso finire bene la stagione. I giovani devono avere più fame e non accontentarsi”

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Prima calciatore, poi dirigente, quindi allenatore e commissario tecnico, infine commentatore televisivo: di certo quella di Giuseppe Dossena non è stata e non è una carriera banale. Campione del mondo con la Nazionale nel 1982 e d’Italia con la Sampdoria nel 1991 (ma il suo ricco palmarès non si ferma qui), dal 1979 al 1981 ‘Beppe’ tenne in mano le redini del centrocampo del Bologna, con cui centrò un ottavo posto sotto la guida di Marino Perani e un incredibile settimo posto con Gigi Radice in panchina, partendo da -5 in classifica a causa dello scandalo calcioscommesse. Oggi lo abbiamo intervistato per parlare dei rossoblù e di un’altra sua ex squadra, il Torino, che domenica pomeriggio sarà ospite al Dall’Ara.

Dossena, domenica sarà anche Mihajlovic contro Juric: da ex allenatore e grande conoscitore di calcio, come li giudica? «Sono due persone pratiche, dirette e senza fronzoli. Quando parli con loro sai di avere davanti professionisti e uomini veri, che non si nascondono dietro ad un dito e non mentono mai. Certo, possono piacere o meno, personalmente preferisco avere a che fare con due così perché so che ne nascerà sempre un confronto sincero. Ci vorrebbero più soggetti come Mihajlovic e Juric, nel calcio e non solo, per spazzare via l’ipocrisia».

La sua valutazione sul percorso bolognese di Sinisa. «Da fuori è sempre difficile giudicare, bisognerebbe chiedere in primis alla società cosa pensa riguardo all’operato del mister. Mihajlovic è stato determinante e perfetto in un momento di grande difficoltà per il club, poi nonostante i problemi personali ha sempre lavorato bene e fatto giocare ai rossoblù un buon calcio, ottenendo salvezze serene. Quest’anno ha scelto di cambiare nettamente filosofia e appunto faccio fatica ad esprimermi in merito, perché da osservatore esterno non conosco nel dettaglio le ragioni dietro a tale decisione. In generale mi sembra che comunque Sinisa goda di un credito importante all’interno del Bologna».

In che modo definirebbe il campionato 2021/22 del Bologna fin qui? «Montagne russe, senza troppi giri di parole. La poca costanza di rendimento può essere in parte imputabile alla giovane età di buona parte dei giocatori, ma dinnanzi ad una tale altalena di prestazioni e risultati viene da pensare che ci siano anche altre ragioni».

Secondo lei cosa servirebbe alla gestione Saputo per salire di livello? «Intanto credo che il presidente dovrebbe spiegare meglio quali sono i suoi reali obiettivi, perché lui e la sua famiglia hanno una disponibilità economica imponente ma è altrettanto vero che per avvicinarsi ai top club italiani servirebbe un salto enorme in termini di investimenti: quelli effettuati finora, comunque corposi, possono magari tenerti nella parte sinistra della classifica e condurti ogni tanto ad un piazzamento europeo, ma ad oggi mi pare utopistico porsi traguardi superiori. Una squadra come quella attuale, ad esempio, può certamente dare qualcosa in più, strappando qualche ‘scalpo’ prestigioso, togliendosi maggiori soddisfazioni e salendo due o tre gradini, ma è difficile chiederle altro».

A proposito di questo, dove si trovano gli stimoli quando non si hanno obiettivi concreti? «Lo stimolo è essere professionisti e comportarsi sempre come tali: è qualcosa che deve venire da dentro, significa avere rispetto per se stessi, la società che ti paga, la città che ti ospita, la tifoseria che ti sostiene e soprattutto la maglia che indossi. Stai facendo un lavoro sognato da tanti, quello che ti sei scelto e per il quale sicuramente hai fatto dei sacrifici, che senso potrebbe mai avere fermarsi e tirare i remi in barca? Specialmente ad alti livelli i diritti diventano spesso privilegi, e a maggior ragione i doveri non vanno mai dimenticati».

C’è qualche giocatore rossoblù che le piace particolarmente o in cui magari si rivede? «A mio avviso ha poco senso paragonare giocatori di epoche diverse, il calcio è cambiato troppo nel corso degli anni. Onestamente nel Bologna di oggi vedo tanti ragazzi dotati senza dubbio di talento che però si accendono e si spengono con troppa facilità: come dicevo prima, va bene la giovane età ma non ci si può sempre nascondere dietro ad essa. È un peccato perché ce ne sono diversi davvero molto interessanti, spero che non si perdano per strada».

La speranza è che prima o poi riescano a ripetere una stagione come la vostra nel 1980/81 con Radice in panchina… «Quella era una squadra giovane e spavalda che andava sempre in campo per imporre il suo calcio, sotto la guida di un grande allenatore: sono felice di sapere che la gente di Bologna si è divertita vedendoci all’opera. Nel gruppo avevamo tanto talento e riuscivamo a tirarlo fuori esprimendoci al massimo, altalenanti non lo siamo mai stati e di questo ne vado orgoglioso. Io la qualità la vedo anche nella rosa attuale, il discorso della discontinuità lo collego più all’applicazione e alla fame: non basta avere un ottimo potenziale e giocare stabilmente in Serie A per sentirsi arrivati, il proprio valore va dimostrato ogni singolo giorno, senza mai accontentarsi: solo così si può sviluppare una mentalità vincente».

Lorenzo Bignami

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