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Morleo: “A Casarano mi diverto e continuo a correre sulla fascia. Io e la mia famiglia ci sentiamo per metà bolognesi, è stata dura lasciare la maglia rossoblù”

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Mitchell Dijks e Ladislav Krejci ai box fino a metà febbraio, Stefano Denswil alle prese con un fastidioso affaticamento muscolare, e così il Bologna ha ripreso a sondare il mercato anche per un terzino sinistro. Nel recente passato quel ruolo è stato ricoperto da Archimede Morleo, che dal 2010 al 2017 ha indossato la maglia rossoblù in 132 occasioni, diventando infine capitano della squadra e contribuendo a riportarla in A dopo la dolorosa retrocessione del 2014. Oggi ‘il Pendolino di Mesagne’ ha 36 anni e, archiviata una breve parentesi al Bari, ha scelto di chiudere la carriera nel Casarano, ambizioso club con cui è già salito dall’Eccellenza alla Serie D. Questa mattina lo abbiamo contattato per parlare della sua nuova avventura e ripercorrere i sette intensi anni vissuti sotto le Due Torri, volgendo poi lo sguardo anche sulla stretta attualità. Ecco cosa ci ha raccontato…

Archimede, è un piacere ritrovarti. A 36 anni vai ancora di corsa sulla fascia sinistra: cosa ti ha spinto a scendere in Serie D e a scegliere il Casarano, dopo tanti anni di professionismo? «Sono arrivato qui nel febbraio dello scorso anno, a stagione inoltrata. Non avevo trovato una soluzione interessante tra i professionisti né in estate né a gennaio, poi mi è arrivata questa proposta e l’ho accettata subito, perché ho capito di avere a che fare con una società solida e ambiziosa che col calcio dilettantistico c’entra poco. L’obiettivo è infatti quello di salire ancora di categoria, magari già quest’anno, non sarà semplice ma ci proveremo fino alla fine».

Quindi il traguardo minimo è l’ingresso nei playoff, giusto? «Assolutamente sì, anche perché sono stati fatti degli investimenti importanti. Però è normale che, dopo diversi anni passati nelle categorie inferiori (il Casarano è ripartito dalla Promozione nel 2012, ndr), serva un periodo di adattamento. Al momento siamo sesti, ma ci aspettavamo di trovarci più in alto a questo punto del campionato: le ultime partite sono state piuttosto sfortunate e il grave lutto che ci ha colpito a fine 2019, quando è scomparso il nostro giovane compagno di squadra Raffaele Santagata, sta pesando sul morale del gruppo. Speriamo di riprenderci al più presto».

Dalle tue parole trapela grande entusiasmo e nessuna voglia di smettere. «Fisicamente sto bene e cerco di allenarmi al massimo, anche se poi alla domenica non è sempre facile trovare spazio perché in Serie D vige l’obbligo di avere in campo per tutti i novanta minuti quattro ‘under’ (un classe 1999, due 2000 e un 2001, ndr), che molto spesso vengono schierati sulle corsie laterali. Non so fino a che punto questa regola aiuti davvero i giovani calciatori, però c’è e va rispettata. Io comunque mi diverto, non mi è ancora passata la voglia di correre dietro ad un pallone su un rettangolo verde».

Quella voglia che ti ha portato fino alla Serie A, conosciuta nel 2010 con la maglia del Bologna… «A Bologna ho esordito e poi giocato varie stagioni in A, ma non è stata solo una questione di campo. Sotto le Due Torri mi sono sposato ed è nata mia figlia Giulia, tante volte in famiglia ripensiamo a quegli anni e proprio lei mi chiede: “Papà, ma perché ce ne siamo andati da Bologna?” (ride, ndr). Chissà, magari un giorno ritorneremo a viverci, è una città che abbiamo nel cuore».

Il tuo primo e unico gol, peraltro bellissimo, lo ricordiamo per quella triste sfida contro il Catania dell’11 maggio 2014, ma ricordiamo anche la tua scelta di restare qui e aiutare la squadra a risalire. «È vero, ho fatto tutto in quella domenica: 100^ presenza in A, primo gol e retrocessione in B, ci ho messo gioie e dolori. Però poi sono rimasto perché volevo togliermi quel peso, non poteva finire così. Sai, se resti in un posto uno o due anni magari riesci a passarci sopra, ma se gli anni cominciano a diventare quattro-cinque, se capisci davvero l’importanza della maglia che indossi e ti affezioni alla piazza, non ce la fai ad andartene come se nulla fosse. Almeno, per me è stato così, e la casacca rossoblù me la sono tenuta stretta fino all’ultimo. Come detto, sia per me che per mia moglie è stato un addio doloroso, ancora adesso ci viene un po’ di magone quando ne parliamo».

Trovare terzini affidabili e continui è sempre più difficile: i rossoblù ci erano riusciti con Dijks, ma questa per lui sembra una stagione maledetta… «Dijks è stato veramente sfortunato, all’inizio pareva una cosa di poco conto e invece il problema al piede si è rivelato un infortunio serio e complicato da superare. Ci sono passato anch’io e so che non è mai facile star fuori, guardi i tuoi compagni all’opera e vorresti rientrare il prima possibile, ma in casi del genere la prudenza è d’obbligo per non rischiare ricadute».

L’intera corsia mancina non trova pace, visto che sono out anche Krejci e Denswil: a Ferrara vieni a darci una mano tu? «Eh, volentieri (ride, ndr). Scherzi a parte, magari la società da qui a fine mese farà qualcosa per porre rimedio: lo scorso mercato di riparazione, unito ovviamente all’arrivo di Mihajlovic, fu portato avanti benissimo e si rivelò decisivo per la salvezza. Adesso il Bologna si è stabilizzato a metà classifica, ma se nel girone di ritorno ritrovasse la continuità di un anno fa allora potrebbe puntare anche a… No, per scaramanzia preferisco non dirlo (ride, ndr), ma lì a pochi punti di distanza c’è un obiettivo importante».

Intanto sono arrivati Barrow e Dominguez, due giovani di grande talento. «Ammetto di conoscerli poco e preferisco non dare giudizi, meglio che sia il campo a parlare, bisogna lasciarli esprimere le loro qualità senza mettergli addosso troppa pressione. Per il resto, avevo iniziato davvero a credere nel colpo Ibrahimovic, sarebbe stata una cosa fantastica. Peccato…».

Questo gruppo ha comunque dimostrato di avere qualità e attributi, giocando sempre a calcio e venendo fuori a testa alta da una situazione a dir poco complessa… «Riuscire ad ottenere dei buoni risultati senza la presenza fisica dell’allenatore è qualcosa di encomiabile e assolutamente non scontato, lo staff tecnico e i giocatori hanno fatto un lavoro egregio. La squadra si era un po’ appiattita circa un mese prima del ritorno in pianta stabile di Mihajlovic, poi Sinisa è ricomparso ed è scattata di nuovo la scintilla. Adesso manca solo lo stadio nuovo…».

Per quello purtroppo bisognerà attendere ancora un po’, anche se il Bologna ce la sta mettendo tutta. «Evidentemente in Italia non basta la buona volontà di un presidente e di una società, c’è sempre qualcosa che tocca, che complica, che frena. Ma ve lo immaginate il Dall’Ara all’inglese? Già è uno stadio caldissimo, figuriamoci con gli spettatori vicini al campo: sarebbe una spinta ulteriore per i rossoblù e un forte condizionamento per gli avversari. Questa è la visione da calciatore, ma in primis sarebbe fondamentale per il comfort dei tifosi, che nel 2020 sono ancora costretti a prendersi l’acqua in testa».

A proposito di tifosi, vuoi mandare un messaggio a quelli rossoblù? «Li saluto e li abbraccio con tutto il cuore, perché mi hanno sempre fatto sentire a casa. Sotto le Due Torri ho lasciato tanti amici, e molto presto spero di riuscire a salire per venirli a trovare. Posso dire tranquillamente che io e la mia famiglia ci sentiamo per metà bolognesi, Bologna rappresenta senza dubbio la parte più importante della nostra vita».

Simone Minghinelli

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