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Nervo: “Bologna da Europa già ora, in Saelemaekers e Ndoye io ci credo. Motta come Guidolin, fautori di un calcio proiettato al futuro”

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La bellezza di 417 gare ufficiali (terzo di sempre per presenze nella storia del Bologna, insieme a Carlo Reguzzoni, dietro soltanto a Giacomo Bulgarelli e Tazio Roversi), 12 stagioni con addosso la maglia rossoblù, 42 gol, un’infinità di cross al bacio e una Coppa Intertoto messa in bacheca nel 1998, ultimo trofeo vinto dalla società felsinea a livello di Prima Squadra. I freddi – ma incredibili – numeri possono raccontare solo in parte chi è stato Carlo Nervo per il BFC 1909. Per tutto il resto c’è l’enorme piacere di una chiacchierata di calcio con una delle ali più forti che abbiano mai calcato il prato del Dall’Ara.

Carlo, è un piacere ritrovarti: come vanno le cose? Qualche volta torni sotto le Due Torri? «Tutto procede bene e nei prossimi giorni sarò proprio a Bologna per motivi di lavoro. Mi fa sempre piacere ritornare, lì sono stato alla grande e ho mantenuto ottimi rapporti e belle amicizie. Quando smetti di giocare a calcio sei comunque giovane e hai tanta vita davanti: per restare in quel mondo è necessario avere determinate competenze che io in quel momento non sentivo di avere, cosi un po’ alla volta mi sono spostato in un ambito differente (Nervo produce e vende mobili di design con la sua azienda Kela, ndr): non è stato facile e devo ringraziare di cuore chi mi ha aiutato».

Passando alla stretta attualità, quali insidie e quali opportunità vedi nella gara di Salerno? «Malgrado l’ultimo posto in classifica e le numerose difficoltà della Salernitana, già passata da un cambio in panchina, l’Arechi rappresenta pur sempre un campo ostico e domani servirà una prestazione da squadra matura, intelligente e consapevole. Il Bologna giocherà in un ambiente caldissimo ma con le proprie qualità e la giusta mentalità, quella che finora non è mai mancata, può venirne fuori con un risultato positivo».

Secondo te la ‘vista Europa’ è per il BFC un semplice sogno o qualcosa di più concreto? «Io a riguardo non ho grossi dubbi: il Bologna è impostato, non soltanto in ottica futura ma fin da subito, per essere la sesta-settima forza del campionato. Il tutto grazie ad una pianificazione societaria che va in quell’esatta direzione, con investimenti mirati e finalizzati a rimanere per lungo tempo nei piani alti, non a fare una comparsata».

Da grande ala quale sei stato, che idea ti stai facendo di Saelemaekers e Ndoye? «Le qualità di Saelemaekers ci sono tutte, per me ha il potenziale del campione. Evidentemente occorre più tempo per il pieno ambientamento, per arrivare a giocare con la massima serenità, ma credo che Alexis possa rappresentare la risorsa in più per raggiungere gli obiettivi prefissati. Anche Ndoye mi piace molto, ha una grande velocità, salta sempre l’uomo e crea superiorità numerica. Certo, entrambi ricoprono un ruolo dispendioso, e magari sottoporta capita di pagare dazio in termini di lucidità ed efficacia».

I torti arbitrali cementano il gruppo o possono rappresentare un freno in una stagione del genere? «A mio avviso non devono mai essere un alibi ma devono compattare il gruppo e dare ulteriore carica, anche se mi rendo conto che adesso stiano diventando un po’ troppi e non sia facile mandare giù certi bocconi amari. Comunque, quando hai la sensazione di avere tutti contro fai ancora più quadrato, e io questo lo percepisco negli atteggiamenti del Bologna, che va avanti a testa bassa nonostante sappia che la classifica potrebbe essere ancora più bella senza determinati episodi».

Oltre che tramite un utilizzo più corretto del VAR, come si può migliorare il rapporto tra arbitri e squadre, ma anche la percezione generale che ne hanno i tifosi? «Premessa personale: non sono un sostenitore del VAR. Piaccia o meno il calcio è fatto anche di malizia, di furbizia, di cose che oggi non sono più possibili, si vogliono trasformare i giocatori in robot. Lo strumento tecnologico in alcune circostanze oggettive è utile, però in quelle soggettive dipende sempre dall’uomo, dall’arbitro. E l’arbitro, proprio per il ruolo che occupa, deve avere una forte personalità, assumendosi certe responsabilità ed evitando di creare confusione: questa dovrebbe essere la base, ma spesso accade l’opposto. Per quanto riguarda la comunicazione, io credo che anche gli arbitri dovrebbero andare in conferenza stampa a fine gara, perché come i giocatori sono parte integrante del calcio e non possono rimanere dentro una bolla a sé stante».

Di recente abbiamo intervistato Guidolin e tentato un parallelo con Motta: tu vedi qualche similitudine? «Sì, diverse. Guidolin era un allenatore che già all’inizio degli anni Duemila cercava di proporre un calcio proiettato al futuro: si andava ad attaccare alti e c’era bisogno di giocatori di gamba. Come oggi Thiago, all’epoca anche Guidolin era un tecnico giovane e fautore di un calcio moderno, un calcio bello da vedere ma nel contempo efficace: quando guardo il Bologna di oggi ho le stesse sensazioni che avevo allora in campo, cioè che la squadra sia padrona della situazione e possa colpire da un momento all’altro, ed è senza dubbio la cosa che mi piace di più».

Riccardo Rimondi

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Foto: Getty Images (via OneFootball)