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Paramatti: “29 novembre 1998, la giornata perfetta. Stadi chiusi? Bologna più penalizzato di altri, il pubblico del Dall’Ara è unico”

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Domenica 29 novembre 1998, stadio Renato Dall’Ara, Bologna-Juventus. Minuto 3: punizione di Signori dalla sinistra, cross teso a uscire, incornata perentoria di Paramatti e palla nel sacco. Sotto la Curva Andrea Costa, che viene letteralmente giù. È il prologo di un pomeriggio magico, meraviglioso, forse irripetibile, se non nell’esito del match quantomeno nel punteggio, nella lezione di calcio impartita dai felsinei ai bianconeri. Tre a zero nel giro di mezzora, con lo stesso Beppegol e Fontolan a completare l’opera, con Mazzone che sovrasta Lippi. Sono passati quasi ventidue anni da quell’impresa, e nessun altro Bologna è più riuscito a sconfiggere la Vecchia Signora sotto le Due Torri, come se una sorta di maledizione si fosse impossessata di questa sfida, spesso impari ma comunque sentita, attesa, vissuta al pari di una finale. Oggi, per provare a spezzare l’incantesimo ma soprattutto per tornare a parlare di calcio giocato, in un periodo estremamente difficile per il nostro Paese, abbiamo contattato proprio colui che accese quello storico match, Michele Paramatti, uno degli ex rossoblù più amati di sempre. Tra passato e presente, con particolare riferimento alla gara di venerdì prossimo, ecco cosa ci ha raccontato…

Michele, il pallone nell’angolino alle spalle di Peruzzi e la Storia che prende forma… «Quella fu semplicemente la giornata perfetta, non ci sono altre definizioni possibili. Andammo appunto in vantaggio dopo neanche cinque minuti grazie al mio colpo di testa, poi nella prima mezzora riuscimmo a sfruttare al massimo altre indecisioni della Juventus: non capita sempre, e soprattutto non è mai scontato approfittarne così tanto e così bene. E il fatto di aver segnato i tre gol sotto l’Andrea Costa rese quel pomeriggio ancor più memorabile».

Allora si disse che la Juve aveva in testa il Galatasaray, stavolta i bianconeri dovranno pensare anche al Lione: può essere un vantaggio? «È una speranza, per far sì che la distanza tra i valori in campo si assottigli un po’, visto che di base la bilancia della qualità pende sempre dalla parte bianconera. Siccome le partite sono molto condizionate anche dall’aspetto mentale, un punto a favore del Bologna potrebbe essere proprio questo. Resta comunque il fatto che sarà una gara dura, una battaglia».

Tra le note a sfavore, invece, la mancanza dei tifosi a causa dell’emergenza Coronavirus. «In tal senso credo che i rossoblù saranno tra le squadre più penalizzate d’Italia, perché il pubblico del Dall’Ara ha pochi eguali e ti spinge sempre a dare qualcosa in più, anche e soprattutto nei momenti di sofferenza».

Mihajlovic invece ci sarà, più combattivo che mai, come lo era Mazzone all’epoca. «La presenza di Sinisa è un fattore decisivo, da quando è tornato a Casteldebole la squadra ha ripreso a marciare forte. Peccato solo per le ultime due-tre partite, dove però le assenze e i singoli episodi hanno inciso parecchio. Il suo è un tipo di calcio che potrebbe dare dei buoni frutti anche in Europa, ed è lì che tutti speriamo di rivedere al più presto il Bologna».

A proposito di Europa, credi sia un treno sul quale i rossoblù riusciranno a salire nel breve periodo? «Mi pare che adesso l’obiettivo minimo della società sia quello di arrivare sempre a sinistra in classifica, migliorando di stagione in stagione fino a rientrare nelle prime sei-sette posizioni. Il triennale fatto sottoscrivere a Mihajlovic è un segnale chiaro, così come sono state significative le ultime due campagne acquisti, che hanno portato a Bologna giocatori dal grande potenziale: non si punta sul tutto e subito, rischiando poi di dover rivoluzionare la rosa in caso di fallimento, ma sulla continuità e su un lavoro che dovrà portare il gruppo attuale a diventare sempre più forte, maturo e competitivo».

Tra gli acquisti più azzeccati c’è senza dubbio Tomiyasu, che per ruolo, doti e caratteristiche può essere considerato un Paramatti 2.0. «Una sorta di mia evoluzione, insomma (ride, ndr). L’ho visto all’opera alcune volte e me ne hanno anche parlato benissimo, prima ancora che un ottimo calciatore è un grande atleta e un professionista esemplare. Ora come ora i difensori con la sua duttilità e la sua capacità di destreggiarsi in entrambe le fasi sono davvero preziosi, per il gioco di Mihajlovic credo sia stato un innesto eccellente».

Continuando nel parallelo tra il calcio di oggi e quello di qualche anno fa, qual è il tuo pensiero sul VAR? «Nel campo delle decisioni oggettive, la goal-line technology si è rivelata fin da subito uno strumento eccezionale. Stesso discorso credo che si possa fare per il VAR in materia di fuorigioco, anche se adesso si discute sulla tolleranza in termini di centimetri. Tutto il resto o quasi è ancora soggettivo. Sì, c’è un protocollo con delle linee guida, ma non sempre gli arbitri le seguono alla lettera, spesso le valutazioni non sono uniformi. Più in generale, credo che il mezzo tecnologico vada utilizzato solo in caso di errori gravi ed evidenti, cioè quando il direttore di gara non vede proprio un episodio o lo giudica in maniera totalmente errata».

In tema di valutazioni soggettive, quando in campo c’è una big può incidere quella che viene comunemente definita ‘sudditanza psicologica’? «Gli arbitri sono persone, non macchine. Pur restando convinto della loro buona fede credo che, magari anche inconsciamente, un po’ di sudditanza verso i grandi club esista ed esisterà sempre. È così, prendere o lasciare».

Cambiando decisamente argomento, come procede la carriera di tuo figlio Lorenzo? «Da fine dicembre, dopo aver concluso l’esperienza in Romania al Poli Timișoara, è a Rimini. La squadra si trova all’ultimo posto in classifica, ma sono arrivati rinforzi e nel girone di ritorno potrà giocarsi la salvezza. La cosa più importante è che adesso Lorenzo sta bene fisicamente, purtroppo il grave infortunio al ginocchio patito nel 2014 ha condizionato il prosieguo della sua carriera, ma il passato non si può cambiare. Mi auguro che trovi una situazione ideale dove potersi esprimere al meglio, per qualsiasi calciatore questa è la chiave per fare il salto di qualità: sentire di essere nel posto giusto con le persone giuste, giocare con serenità e divertirsi».

Tu invece di cosa ti occupi? «Gioco a golf (ride, ndr). Battute a parte, seguo la mia società immobiliare, la gestisco da solo e quindi mi posso organizzare come voglio, riuscendo a conciliare lavoro e tempo libero».

A Bologna sei ancora un idolo, ma questo lo sai già… «Sono consapevole di aver lasciato un buon ricordo sotto le Due Torri, me ne accorgo ogni volta che torno e incontro i tifosi: sono stati sei anni di alto livello, emozionanti e gratificanti sia per me che per loro, anche se il destino ci ha beffato in più di un’occasione. Come accennavo prima, a loro posso solo dire di continuare così, perché sono unici. Certo, i tempi sono cambiati, magari oggi non si fanno più le grigliate tutti insieme a bordocampo, ma ci sono comunque tanti modi per dimostrare affetto e vicinanza ai giocatori. Il primo e più importante, e su questo il pubblico bolognese fa scuola, è quello di sostenere la squadra dal primo all’ultimo minuto. Poi alla fine si fanno i conti, ma finché la palla rotola bisogna remare tutti nella stessa direzione».

Simone Minghinelli

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Foto: Damiano Fiorentini