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Santurro: “Sarò sempre grato a Bucci e al Bologna per l’opportunità, indimenticabile l’esordio in Serie A. Ravaglia è cresciuto tanto, può stare ad alti livelli”

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Diventare un calciatore di Serie A è il sogno di milioni di ragazzi e garantisce numerosi agi e privilegi, ma la vita del secondo portiere ‒ sportivamente parlando ‒ non è così semplice.  Figuriamoci quella del terzo, consapevole che salvo particolari cataclismi non vedrà mai il campo. Per chi è passato attraverso una lunga gavetta, calcando i campi di provincia nelle categorie inferiori, toccare l’apice del professionismo rappresenta però un traguardo incredibile, indipendentemente dalle presenze sul rettangolo verde. Lo sa bene Antonio Santurro, estremo difensore classe 1992 che nel 2017 ha visto i suoi sforzi venire premiati dalla chiamata del Bologna, riuscendo anche ad esordire nel massimo campionato italiano il 31 marzo 2018. La sua ultima stagione, in prestito al Catania (Serie C) per trovare un po’ di spazio, è stata rovinata da un infortunio, e il contratto col club felsineo è ormai prossimo alla scadenza, ma Antonio tiene alta la testa e non demorde. Del resto, fin da quando entrò ad appena 9 anni nel settore giovanile del Parma, non lo ha mai fatto.

Antonio, innanzitutto ti chiedo come stai, visto che arrivi da un periodo decisamente tribolato. «Purtroppo un problema al tendine rotuleo del ginocchio destro ha condizionato la mia stagione dall’inizio alla fine. Ho giocato titolare nella prima partita di campionato a fine settembre, poi è uscito fuori questo dolore che mi ha costretto a due mesi di terapie. In seguito sono rientrato ma il fastidio continuava, così mi sono allenato per un po’ sul dolore stringendo i denti e poi ho deciso di tentare con un altro tipo di trattamento. Solo nell’ultimo mese mi sono rimesso a posto, pur avvertendo ancora un leggero fastidio in via di miglioramento: ora sto svolgendo un lavoro di rinforzo importante per evitare che il problema si ripresenti».

Al di là dell’infortunio e dell’eliminazione ai playoff contro il Foggia, come ti sei trovato a Catania? «Benissimo, l’unico rammarico è non aver avuto al nostro fianco i tifosi: sarebbe stato incredibile giocare con lo stadio Massimino pieno a caricarci e spingerci, ma per ovvie ragioni ci siamo dovuti rassegnare agli spalti vuoti. Però Catania è una grande piazza e merita di stare molto più in alto».

Torniamo un po’ indietro nel tempo, precisamente all’estate 2017: a 25 anni, dopo tanta gavetta, arriva la chiamata del Bologna… «Io reagisco sempre in modo molto equilibrato, ma ricevere una chiamata del genere dopo il percorso fatto nelle categorie inferiori è stato motivo di grande orgoglio. Ringrazierò sempre Luca Bucci, che mi conosceva dai tempi delle giovanili del Parma e mi ha segnalato alla dirigenza, poi la cosa è andata a buon fine e sono iniziati questi quattro anni. Dei primi due conservo bellissimi ricordi, in primis quelli legati all’esordio in Serie A, mentre mi dispiace che i due passati in prestito altrove non siano andati come ci aspettavamo sia io che la società».

Com’è stato l’impatto col calcio di alto livello? «La prima stagione è stato fantastica perché mi sono ritrovato per la prima volta al top, avevo l’entusiasmo a mille in ogni singolo allenamento. È normale pensare che il terzo portiere, non giocando mai, faccia fatica a trovare le giuste motivazioni, ma quell’esperienza l’ho vissuta in maniera positiva e con tanta voglia di mettermi alla prova. Fondamentali sono stati gli insegnamenti dello stesso Bucci, Mirante e Da Costa, che mi hanno sempre spronato ad allenarmi dando più del 100%. Devo invece ammettere che il secondo campionato, una volta passata l’euforia iniziale, è stato più difficile: in quei frangenti, pur lavorando al massimo, ti rendi conto che la tua situazione non cambierà. E così nella mia testa è maturata l’idea di andare a giocare in prestito».

Se non altro ti sei tolto la soddisfazione di debuttare in Serie A: 31 marzo 2018, stadio Dall’Ara, di fronte c’era la Roma… «Era il sabato prima di Pasqua, una giornata indimenticabile. Il sentore che avrei giocato ce l’avevo da un po’ di giorni, dentro di me non sentivo alcuna paura ma prevaleva la curiosità di misurarmi con la Serie A, per capire se in un contesto del genere ci potevo stare. Certo, nel momento in cui sono entrato in campo insieme ai compagni mi sono domandato: “Ma è tutto vero? Cosa ci faccio qua?” (ride, ndr), poi però è prevalsa la concentrazione sulla partita e su ciò che dovevo fare. Alla fine è uscita anche una discreta prestazione, magari un pizzico fortunata per certi episodi che sono girati a mio favore nonostante qualche incertezza».

Con quale collega hai legato di più durante le stagioni passate a Casteldebole? «Il gruppo dei portieri è sempre speciale e in rossoblù posso dire di essermi trovato bene con tutti quelli che si sono succeduti, compresi i giovani che ogni tanto salivano dalla Primavera. Ci tengo a ringraziare ancora Bucci per avermi dato l’opportunità di entrare a far parte di un club importante come il Bologna, è un preparatore straordinario e un grande uomo. E visto che poco fa li ho citati, ribadisco che Da Costa e Mirante sono due persone eccezionali».

Parlando più in generale, secondo te perché si preferisce pescare all’estero piuttosto che dare fiducia ai giocatori che fanno la differenza in B e in C? «Purtroppo in Italia è proprio una questione culturale, permane una certa diffidenza verso i ragazzi che si mettono in luce nelle serie inferiori, giovani e meno giovani. E per i portieri è ancora più difficile, perché ad un giocatore di movimento puoi dare dieci-quindici minuti alla fine per fare esperienza o comunque prendere confidenza con la categoria, al portiere no, o ci punti in maniera convinta dal primo minuto oppure niente. Per avere un’occasione deve capitare un infortunio, una squalifica o un periodo davvero negativo del titolare, altrimenti le gerarchie non mutano praticamente mai».

Ravaglia, prodotto del settore giovanile felsineo, grazie al coraggio di Mihajlovic qualche chance l’ha avuta: che ricordo hai di lui e che impressione ti ha fatto? «Con Federico ho trascorso un anno a Bologna, poi nel campionato 2019-2020 ci siamo ritrovati da avversari in Serie C, io nella Sambenedettese e lui nel Gubbio. L’ho visto cresciuto veramente tanto sia sul piano fisico che caratteriale, come personalità e leadership, e per un portiere l’aspetto mentale è quasi più importante di quello tecnico. In questa stagione ha avuto la possibilità di giocare tre partite e nel complesso credo abbia fatto bene, ha dimostrato che ad alti livelli ci può stare, adesso deve confermarsi e credo che un prestito in B per fare esperienza e crescere ancora sia la soluzione migliore».

Pensi che possa riuscire a costruirsi una carriera importante? «Il potenziale c’è ma dirlo ora è difficile, perché lo sport e in particolare il calcio non sono materie scientifiche, spesso si vede gente su cui non avresti scommesso un euro toccare vette incredibili, e viceversa. Il successo dipende da tanti fattori, non dico che sia determinante la fortuna ma di sicuro è importante trovarsi al posto giusto nel momento giusto. E poi, come accennavo prima, sono fondamentali il carattere, le motivazioni, la fame e la voglia di arrivare, elementi che non possono mai mancare al di là di ogni possibile discorso tecnico-tattico».

E invece la carriera di Santurro come proseguirà? «Sono consapevole di arrivare da due annate difficili, specialmente l’ultima per via dell’infortunio, quindi la prima speranza è di essermi messo definitivamente alle spalle il problema al ginocchio. Purtroppo le situazioni negative fanno parte del gioco e vanno accettate, ora sta a me rimboccarmi le maniche e fare di tutto per rilanciarmi».

Un piccolo spiraglio per la tua permanenza in rossoblù lo lasciamo aperto? «Il contratto scade il 30 giugno e se mi metto nei loro panni capisco che sia difficile ipotizzare un rinnovo, in ogni caso parlerò col club nei prossimi giorni tramite il mio agente e poi si vedrà. L’unica cosa che mi preme ora è ringraziare Bologna e il Bologna per tutto ciò che mi hanno dato, non lo dimenticherò mai. A prescindere dal mio futuro, auguro al BFC di fare quell’ultimo step in termini di risultati per entrare fra le migliori sette-otto del campionato: lo merita la piazza, appassionata, rispettosa e affettuosa come poche altre, e lo merita la società, che per strutture e organizzazione è già adesso al top in Italia».

Simone Minghinelli

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