Ancora una volta il catastrofismo prevale sull'equilibrio. Ma il vero Bologna, al completo e in forma, resta da primi dieci posti

Ancora una volta il catastrofismo prevale sull’equilibrio. Ma il vero Bologna, al completo e in forma, resta da primi dieci posti

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Sei sconfitte nelle ultime sette gare sono un richiamo troppo goloso per il catastrofismo pallonaro che, complice il COVID e la coatta lontananza dagli stadi, obbliga a (sovra)sfogare per vie digitali un malumore che altrimenti avrebbe imboccato naturalmente la strada dei fischi sugli spalti. La classifica, è chiaro, mostra un Bologna in leggero ritardo rispetto agli obiettivi fissati ad inizio stagione. Ma è un dato altrettanto evidente che la frenata sia avvenuta per motivi esogeni e non endogeni alla squadra: guarda caso il punto più critico (gli ultimi tre k.o. di fila) ha interessato l’assurda gestione di recuperi, rinvii e allenamenti a singhiozzo. Questo non significa che, in assenza di virus, quarantene e Coppa d’Africa, Mihajlovic avrebbe raccolto nove punti. Ma quasi certamente, con la rosa al completo, oggi non staremmo parlando di crisi.
Crisi? Anche su questa parola bisognerebbe intendersi: nei primi 22 match del passato campionato il Bologna aveva raccolto 24 punti, tre in meno di quelli attuali. Non è una gran differenza (una sconfitta in più, una in meno) ma è pur sempre qualcosa. Ora, durante ogni periodo opaco è molto facile rievocare il modello societario atipico attorno al quale si è costruito il club degli ultimi otto anni (presidenza a distanza, presunta riluttanza a investire ecc.). Ma dopo otto anni, appunto (e nel calcio otto anni sono come venti legislature in politica) si dovrebbe aver capito lo spirito dell’attuale gestione: che è (aggiungo ‘per fortuna’) una gestione a lungo termine, basata sul rafforzamento delle infrastrutture e sul mantenimento di un tenore sportivo sopra il livello della sufficienza. Gli oltre 200 milioni investiti da Saputo nel suddetto periodo lo dovrebbero dimostrare oltre ogni evidenza tautologica. Bisogna ricordarsi, ma il BFC fine anni Novanta targato Gazzoni pesa ancora nella memoria collettiva, che senza uno stadio e un movimento di pubblico adeguato (col COVID poi…) non ha il minimo senso vagheggiare l’Europa, a meno che non si voglia esserne turisti occasionali come hanno fatto Empoli e Sassuolo.
Il Bologna era una squadra all’incirca da decimo posto prima di perdere sei partite su sette, e tale rimane, soprattutto se investirà qualche milione su rinforzi di immediato utilizzo (come l’entrante Aebischer), magari liberandosi nel contempo dei giocatori fuori dal progetto tecnico. Tempo sprecato, poi, mi sembra l’indignarsi per i comportamenti renitenti di Skov Olsen e Dijks denunciati ieri sera da Mihajlovic: del danese, che impiegò più di un mese per decidere se firmare o meno coi rossoblù, bastava guardare le eloquenti espressioni in campo; dell’olandese, invece, non ricordo un periodo in cui abbia dimostrato di essere utile alla causa per più di dieci gare consecutive. Due bravi ragazzi, senza dubbio, ma mai sfiorati dal sospetto di poter aumentare strutturalmente il valore di questo gruppo.

Luca Baccolini

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