Ballardini, Bologna l'unica macchia in carriera. Ma quella retrocessione non fu colpa sua

Ballardini, Bologna l’unica macchia in carriera. Ma quella retrocessione non fu colpa sua

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I fatti dicono che Davide Ballardini raccolse un Bologna al 17° posto, dunque potenzialmente salvo, e lo riconsegnò al 19°, dunque retrocesso in Serie B. Ma le 20 partite del tecnico romagnolo, in quella disgraziata stagione 2013/14, non possono essere ridotte a questa semplice operazione di prima/dopo. In mezzo, infatti, sta la scellerata cessione di Alessandro Diamanti, annunciata a mercato italiano già concluso, quando non c’era più tempo per trovare un sostituto. Sempre ammesso che ‘Alino’, in quel Bologna così fragile, fosse facilmente sostituibile.
Ballardini, che si presenta stasera nella sua dodicesima avventura da subentrante, avallò quella cessione, o perlomeno non vi si oppose. Fu una colpa? Difficile dirlo, nei complessi rapporti che regolano la vita di presidenti e allenatori. Lui, Davide, ai presidenti-padroni è sempre stato abituato: Zamparini (che a Palermo lo chiamò due volte e lo esonerò nell’arco di una sola stagione), poi Lotito, Preziosi e Cellino, il quale non esitava a contattarlo alle 3 di notte per comunicargli qualche nuova idea tattica. Resta il fatto che a Bologna il mister trovò una situazione già compromessa. Ma a ben guardarci, fu proprio quella retrocessione a innescare il processo che portò al passaggio di proprietà di cui oggi vediamo ancora gli effetti.
Decisivo, nella suddetta stagione, fu paradossalmente il successo esterno sul Torino, arrivato dopo 3 pari consecutivi e una sconfitta. In quella domenica il Bologna si presentava in campo per la prima volta senza Diamanti. Pareva una marcia verso il patibolo, invece si trasformò in una vittoria insperata, con Cristaldo (fin lì quasi completamente in ombra) autore di due gol. Ma fu anche la vittoria delle illusioni. Tutti vollero credere che il BFC fosse uscito rafforzato dalla cessione di Diamanti. Un controsenso puro. Ma non rimaneva molto altro a cui aggrapparsi.
Da Torino in avanti, cominciò il precipizio. La squadra, tremebonda, non riuscì a vincere gare in cui sarebbe bastato spingere la palla in rete. A Marassi, contro un Genoa già salvo, Friberg servì un assist d’oro a Bianchi, che sprecò. Con l’Inter Acquafresca si trovò il pallone del successo e lo fallì. Non serve a molto piangere sul latte versato, soprattutto dopo quasi un decennio. Ma non serve nemmeno accusare Ballardini, uomo tutto d’un pezzo, romagnolo d’altri tempi, abituato a parlare poco e lavorare molto, per quel tonfo sportivo. Che è rimasto anche l’unica macchia della sua carriera.

Mario Sacchi

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Foto: Getty Images (via OneFootball)