Ciao Stefano, il calcio come un racconto gentile

Ciao Stefano, il calcio come un racconto gentile

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La penna garbata di Stefano Biondi si riconosceva subito: un periodare ordinato, affettuoso, screziato da una punta d’ironia che non sorpassava mai il confine del sarcasmo. Il fatto che non scrivesse più da circa quattro anni sulle colonne del suo Resto del Carlino (‘colpa’ di una carriera precoce, che lo ha consegnato troppo presto alla pensione) era una piccola ulteriore perdita nei nostri appuntamenti quotidiani mattutini, solo parzialmente compensata dalle strisce radiofoniche. Ma so per certo che Stefano era contento del suo nuovo status di ‘esiliato’ dal mondo del calcio: «Non sono mai stato meglio», mi disse una volta. C’era da credergli. Gli affetti, la famiglia, il tempo prezioso per le letture valevano inestimabilmente più della firma sul giornale. E poi il mondo delle favole dove ama rinchiudersi il calcio (che il COVID e la crisi di valori stanno progressivamente distruggendo) era pressoché scomparso. E per un giornalista come Stefano, attentissimo a cogliere sfumature e paradossi, lo sport appiattito di oggi probabilmente non avrebbe offerto molti altri spunti interessanti.
Ricordo bene il suo stile di scrittura, intendo dire il gesto tecnico dello scrivere: mani alte sulla tastiera del computer e dita che cadevano velocemente sui tasti, con una corsa ampia e ritmata, priva di interruzioni o ripensamenti. In questo emergeva il giornalista figlio d’altri tempi: la nuova generazione tiene le mani attaccate alla tastiera, perché non ha mai conosciuto la macchina da scrivere, uno degli strumenti più musicali mai inventati dall’uomo. In realtà Stefano si riconosceva subito per un dettaglio fondamentale: i suoi pezzi riuscivano a mantenere una miracolosa distanza di sicurezza dall’oggetto raccontato. Era come se il presupposto del suo scrivere fosse: «Ti sto raccontando una partita del Bologna, ma sappi che quello che è accaduto è la storia di un pezzo della nostra vita, della nostra città, del nostro mondo, e quindi anche di te. E come tale va considerato». Con rispetto, ma con nobile sprezzatura. Con lui, insomma, non si correva il rischio di essere travolti dal tecnicismo, quell’esasperante febbre analitica in cui incappano gli odierni commentatori, che paiono assaltare i fatti con occhi spiritati e immoti. Biondi padroneggiava un italiano più forte e resistente dei neologismi modaioli, donando alla cronaca sportiva (di solito snobbata dalle ‘alte’ sfere) una patente di dignità quasi letteraria.
Significativo il dato biografico: nella lunga e appagante carriera giornalistica di Biondi, cominciata nel 1979 e terminata nel 2018, non si conta un solo trionfo del Bologna, a meno di non voler considerare tale la defunta Coppa Intertoto, di cui questo quarantennio è stato lo zenit. È un peccato che un giornalista di tale statura non abbia avuto a disposizione un vero successo rossoblù da raccontare, privilegio che invece è appartenuto alla generazione precedente, quella di Gianfranco Civolani. Che ora mi piace immaginare in ritrovata ottima compagnia del suo e nostro amico, da qualche parte, in un remoto altrove, senza schermi, dirette e pagelle. Puro calcio e gioia di vivere.

A Sabrina, che in queste settimane di travaglio non ha mai abbandonato il suo lavoro, va il nostro più caro abbraccio.

Luca Baccolini

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Foto: ilrestodelcarlino.it