Corticella: l'impresa di un quartiere che ha portato la sua squadra alle soglie della Serie C

Corticella: l’impresa di un quartiere che ha portato la sua squadra alle soglie della Serie C

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È presto per fare paragoni con la ‘favola’ Chievo (favola peraltro terminata nel peggiore dei modi già da un po’), ma la parabola dell’US Corticella avrebbe certamente meritato più attenzione da parte di tutti, istituzioni in primis. Domenica scorsa una squadra di quartiere partita un anno fa dall’Eccellenza ha conquistato e vinto la finale del playoff Dilettanti contro il Carpi, guadagnandosi così il diritto di iscriversi all’elenco dei ripescaggi in Serie C, ovvero tra i professionisti. A fare la differenza l’ottimo lavoro del d.g. Ivan Broglia e dell’allenatore Alessandro Miramari (partito dal calcio a 5), il talento di un gruppo giovanissimo e l’amorevole cornice del centro sportivo Biavati, dove il Corticella gioca le sue gare casalinghe. Quasi nulla succede per caso: chi conosce quell’angolo di Bologna sa benissimo che è un’oasi di convivenza civile, in cui tutto funziona al meglio.
In realtà anche chi non è mai passato di lì può ricordare il film Chiedo asilo girato da Marco Ferreri proprio a Corticella, dove un giovanissimo e ancora sconosciuto Roberto Benigni vestiva i panni del maestro, scoprendo quanto sia più facile occuparsi di cinquanta bambini altrui che di uno suo. Era la stessa isola felice che vide sorgere il Centro Civico di via Gorki, uno dei fiori all’occhiello della Bologna anni Settanta, completo di ogni servizio in un quartiere ultra periferico, quasi una città nella città: la scuola immersa nel verde, un poliambulatorio, il consultorio familiare, un centro commerciale, un teatro polivalente, un cinema, una sala per la musica, la biblioteca, la palestra, un punto d’ascolto per le tossicodipendenze, i laboratori di artigianato. «Corticella era il centro del mondo: abitare qui era un privilegio», avrebbe scritto qualche anno più tardi Francesca Ciampi, maestra elementare, che di Corticella è stata la memoria storica.
Il Biavati incarna proprio questo spirito, coi suoi 700 associati che contribuiscono a tenere in piedi la struttura, tra campi da calcio, beach volley, tennis, padel, un ristorante aperto da mattina a sera e persino i corsi sportivi per bambini diversamente abili. Merito di quest’architettura sociale e sportiva va dato a Roberta Bonfiglioli, che da dieci anni tiene le redini della squadra e da cinque assicura la gestione del centro, superando ogni tipo di ostacolo, dai furti notturni ai rincari del gas (una bolletta, pochi mesi fa, ha toccato addirittura i 93 mila euro). La maglia azzurra di Amedeo Biavati che la Bonfiglioli ha incorniciato nel suo ufficio ricorda che i sogni amano le scorciatoie, proprio come capitò nel 1938 al grande ‘Medeo’, che in due anni passò dalla Serie C a Rimini alla finale dei Mondiali.
Oggi Biavati sarebbe contento di sapere che Corticella è diventata la seconda squadra di Bologna, lui che non si è mai risparmiato lunghe e logoranti gavette, sia da calciatore che da allenatore. Il primo campo da gioco del Corticella, in realtà, lo spianò in via Sant’Anna una ruspa dell’esercito americano, poi si passò alla vicina via Colombarola, dove sorse il ‘Maracanã’, e infine arrivò il Biavati, chiaramente inadatto ad ospitare gare di Lega Pro (e proprio per questo motivo difficilmente il Corticella potrà giocarsi una chance tra i professionisti). La famiglia di Amedeo, commossa per l’intitolazione, regalò al Corticella la maglia della Coppa Rimet. Ora sarebbe bello che la stessa attenzione la riservasse Bologna alla sua seconda compagine cittadina.

Luca Baccolini

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Foto: uscorticella.it