‘La partita della vita’, il libro-manifesto di Sinisa Mihajlovic tra ideali, riflessioni, curiosità e ricordi

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Sinisa Mihajlovic chiude un cerchio, e lo fa tramite un libro che inizia e finisce con la stessa frase, fatta rimbalzare su un campo da padel in due momenti molto diversi.
La prima volta la pronuncia nel luglio 2019, in piena forma e totalmente ringalluzzito da quanto è riuscito a fare col suo Bologna, raccolto in corsa dalle macerie e ricostruito a tempo di record. Per citare le parole che lui stesso scriverà più avanti, Mihajlovic è riuscito in pochi mesi a cambiare la mentalità dei suoi, a fargli capire che bisogna «giocare per vincere, tornare a rischiare, gonfiare il petto, eliminare la paura dagli occhi di una squadra che sembra un pulcino bagnato». Quel pulcino, raccolto tremolante e ad un passo dalla Serie B, conclude la stagione al decimo posto, e gran parte del merito è dell’uomo che ora sta affrontando una partita di padel come una finale di Champions League e urla al malcapitato Dario Marcolin, amico di lunga data: «Te l’ho detto che sei una mezzasega, dai forza a quei colpi, che così non mi fai neanche sudare».
Il giorno dopo, però, Sinisa si sveglia avvertendo una fitta all’adduttore che non riesce a spiegarsi. Il dottor Nanni e il dottor Sisca, medici sociali del Bologna, lo convincono allora a sottoporsi ad una serie di esami, e l’esito è tremendo: leucemia mieloide acuta.
Quanto accade dopo viene esplorato nel dettaglio da un libro che merita di essere letto, poiché non si limita a raccontare la lunga e faticosissima ripresa di Mihajlovic fino al progressivo ritorno sui campi, ma si aggancia ai tanti ricordi che in quelle settimane turbinano nella testa del serbo, per ripercorrere tutta la vita di un uomo che ha vissuto per tre.
Trovano spazio anche aneddoti e rivelazioni sul Bologna, quello attuale ma anche quello conosciuto nel 2008, alla prima esperienza da allenatore capo. C’è il ricordo della presidente Francesca Menarini, che scommette su di lui e poi lo esonera nonostante la squadra, sotto la sua guida, sia riuscita a centrare nove risultati utili consecutivi. Il mister non porta rancore nei confronti dell’imprenditrice, sa che è stava scavalcata da Luciano Moggi, il quale sta lavorando per portare sotto le Due Torri Antonio Conte. Intanto sulla panchina felsinea siede Giuseppe Papadopulo, che per le prime due settimane telefona a Sinisa per chiedergli consigli. Il neo tecnico raccoglie sei punti in due settimane, ma la terza volta si sente chiudere il telefono in faccia: «Scusa, ora basta. Fai da solo, la squadra la conosci».
I nove risultati utili a cui si è appena accennato erano stati frutto di sette pareggi e due vittorie. Nonostante la squadra attuale sembri allergica al segno X, infatti, il primo BFC di Mihajlovic ne era abbonato. A tal proposito, il mister fa un esame di coscienza e realizza che «con Bologna, Catania e Fiorentina avevo fatto una collezione di pareggi perché mi preoccupavo troppo degli altri». Poi prende il timone della nazionale serba, e da lì in poi sceglie di abbracciare un calcio più offensivo, fatto di pressing alto, aggressività e partecipazione collettiva. Inizia a chiedere ai terzini di sovrapporsi, ai centrali di giocare alto. In seguito, di nuovo alla guida di un club, impone ai suoi di non cambiare atteggiamento indipendentemente che giochino in casa o in trasferta: «Non si deve aver paura di giocare e attaccare. I tifosi amano le squadre offensive. Vince sempre chi segna un gol in più dell’avversario», scrive Mihajlovic, quel Mihajlovic che torna a Bologna dieci anni dopo la prima volta e compie un miracolo sportivo.
La conferma sotto le Due Torri, al termine della stagione 2018-2019, è tutt’altro che scontata, e non certo perché i vertici rossoblù siano indecisi. Juventus, Milan e Roma si muovono su di lui, e i giallorossi vanno vicinissimo a convincerlo: «Sembrava fatta, ma hanno avuto un casino con l’addio di De Rossi. E Totti era sul punto di lasciare, come poi è successo. C’erano tante polemiche e non se la sono sentita di scegliere come allenatore uno con un passato nella Lazio come me. Problemi loro». Già, problemi loro e fortuna di un Bologna che non vede l’ora di riabbracciarlo e cominciare una nuova avventura. Dietro l’angolo, però, c’è un incubo chiamato leucemia. Sinisa non parte per il ritiro e pochi giorni più tardi, con una videochiamata, catechizza la squadra: «I più esperti prendano per mano i più giovani. Lavorate duramente, ma con il sorriso. […] Se vedrò un po’ di me in ognuno, la somma darà un Mihajlovic più forte e più importante di me: perché io sono solo uno, ma grazie a voi sarò moltiplicato per trenta». Quel giorno nasce, a detta sua, il «Bologna United», una squadra che è ben più di una somma di singoli.
La stagione dei rossoblù è consultabile su qualsiasi almanacco, ma sono i retroscena a rendere pregnante La partita della vita. La storica e rocambolesca vittoria contro il Brescia, rimontato fino al 3-4 finale, e il successivo festeggiamento dall’intera squadra sotto la finestra della sua camera al Policlinico Sant’Orsola, sono ancora sotto gli occhi di tutti. Non si conoscevano invece le perplessità e i timori che quella serenata ha provocato nel mister, un uomo da sempre abituato ad essere odiato più che idolatrato: «Quel momento mi ha colpito molto, ma mi ha anche fatto temere che i giocatori si stessero affezionando troppo a me e che io stessi diventando troppo morbido con loro. […] Non vorrei che tanto affetto nei miei confronti possa farli adagiare. Da una parte li abbraccerei uno a uno come fossero dei figli, dall’altra mi impongo di mantenere la mia grinta. Se divento troppo buono, non va bene».
Il serbo ha dichiarato più volte di essere felice della maturazione avuta negli anni, di aver imparato a contare fino a dieci e non solo fino a tre. Allo stesso tempo, non vuole smettere di essere visto come il sergente di ferro di cui avere rispetto e magari anche soggezione. Crede che troppo calore possa indebolirne l’indole e l’influenza, anche se non può sottrarsi all’amore che l’intera città gli tributa in quei mesi così complicati. I tifosi lo amano, lo invocano e lo incoraggiano ogni domenica, organizzano per lui un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di San Luca. Il serbo si sente «accolto come un fratello e coccolato come un figlio», e comprende che quelle persone non stanno sostenendo l’allenatore del Bologna, ma Sinisa: «Bologna mi considera uno di famiglia. Voglio dare a questa gente le soddisfazioni sportive che merita. Ma so che qui lo sport e il calcio sono un aspetto marginale. Stanno aspettando l’uomo, non solo il tecnico».
Torneranno entrambi, l’uomo e il tecnico. Supereranno i cicli di chemioterapia, rientreranno stabilmente a Casteldebole e in panchina. Affronteranno anche il COVID-19, con lo stesso spirito gagliardo. Un campionato assurdo e imprevedibile, cominciato con l’allenatore in lotta per la sopravvivenza e terminato disputando dodici turni in quaranta giorni, vedrà il Bologna terminare dodicesimo.
Le cose sarebbero potute andare diversamente se, durante la sessione invernale di calciomercato, Zlatan Ibrahimovic avesse accettato Bologna come destinazione? È probabile, ma non lo sapremo mai. Di certo, il mister felsineo non porta rancore nei confronti del suo amico, nonostante lo svedese fosse arrivato a dichiarare che per Sinisa avrebbe anche giocato gratis: «Non considero la sua una promessa disattesa. […] Pretende di essere valutato da top player qual è. […] Sta di fatto che tra Bologna e Milan ha scelto anche per il prestigio del club e per la città, Milano».
Mihajlovic è cambiato, non ha più tempo per le recriminazioni. Ha passato più di quaranta giorni chiuso in una stanza d’ospedale, incapace di alzarsi dal letto, ed è consapevole di quanto sia stato forte, sì, ma anche fortunato. Oggi vuole godersi il primo amore della sua vita, il calcio, e quello conosciuto e costruito strada facendo, quello di e per la sua famiglia.
Non ha smesso di rinunciare ai piaceri della vita, e ogni tanto lascia ancora sfogare il suo temperamento sanguigno, orgoglioso, provocatore. Chiunque si fosse trovato su un campo da padel il giorno dopo Bologna-Parma dello scorso 28 settembre, avrebbe potuto sentire Sinisa apostrofare così il preparatore dei portieri rossoblù Luca Bucci: «Te l’ho detto che sei una mezzasega, dai forza a quei colpi, che così non mi fai neanche sudare».

Fabio Cassanelli

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