Orgogliosi di essere come siamo, da 110 anni

Orgogliosi di essere come siamo, da 110 anni

Tempo di Lettura: 2 minuti

Il Bologna va amato così, perché anche nella Partita delle Leggende (alcune delle quali metropolitane) riesce a prendere due gol da un attaccante colombiano che si chiama Congo e che nel Real Madrid non aveva mai giocato nemmeno un minuto (lo ha scoperto stasera, poco prima di entrare). Ma chi se ne importa. Se abbiamo fatto segnare Kean, il primo millennial della Serie A, Gabigol e tre volte Grandolfo, cosa vuoi che sia vedere il balletto dell’esultante Edwin Congo, se in cambio siamo ripagati dalla pancia di Ghetti, un tempo soprannominato ‘Chilometro’ e adesso solo ‘Chilo’, dai baffi nerissimi e comunistissimi di Renato Sali, l’unico calciatore a presentarsi agli allenamenti con l’Unità sottobraccio, dalla pelata di Marazzina, che ha perso i capelli ma non la sua idiosincrasia per Ulivieri (e infatti si volta sdegnato dall’altra parte, quando l’ex allenatore varca il campo), dai piedi fatati di Mudingayi e, sopra ogni cosa, e qui torniamo seri, dal gol di Marco Di Vaio, che di colpo ci fa sentire più vecchi, perché quando cominciò a segnare le prime reti in rossoblù avevamo tutti undici anni di meno e quando segnava le ultime, nel 2012, la nostra amata Giorgia Mattioli decideva che era arrivata l’ora di condividere un po’ del suo tempo e delle sue risorse per alimentare una voce non sempre allineata, ma onesta, per raccontare in modo nuovo, forse pionieristico, le sorti rossoblù, in un’epoca in cui Facebook albeggiava, almeno in Italia, e Instagram nemmeno esisteva.
Chissà cosa avrebbe detto Giorgia, col suo malinconico fatalismo, se avesse visto la partita contro il Real Madrid (per la cronaca, terminata 4-2 in favore dei Blancos). Ma chissà cosa avrebbero detto i tanti che, per un’ingiustizia non sindacabile, non hanno potuto festeggiare con noi i 110 anni del nostro Bologna, da Giacomo Bulgarelli ad Helmut Haller, da Harald Nielsen a Niccolò Galli e Klas Ingesson, tutti legittimamente autorizzati ad esserci, per diritto sportivo e anagrafico, ma che invece ci guardano da un ignoto altrove, per chi ci crede. Alla fine di questa festa, che come tutte le feste, se sono tali, deve contenere un tratto vistoso di malinconia, rimarrà l’orgoglio per aver contribuito, ognuno con la sua briciola, a tener viva la fiamma finché qualcuno, che si chiama Joey Saputo, non si è presentato con un mantice più energico di tutti i nostri soffi messi assieme, e ha ridato un senso, a colpi di milioni, alla passione di una città intera. Chi non si è commosso alla festa del Dall’Ara avrà ben poche occasioni per le quali farsi velare gli occhi. Ma anche ben poche altre per cui sorridere. Vero, Giorgia?

© Riproduzione Riservata

Foto: bolognafc.it