Rubens Fadini, dalla bassa ferrarese al Grande Torino

Rubens Fadini, dalla bassa ferrarese al Grande Torino

Tempo di Lettura: 2 minuti

Bologna-Torino è una sfida da 14 scudetti sparsi lungo mezzo secolo, dal 1925 al 1976, un’epoca in cui le due compagini si contendevano il predominio italiano a discapito delle solite note. Ma questa sfida è anche l’occasione giusta per ricordare un nome poco noto, quello di Rubens Fadini, un emiliano che si trovò a giocare tra le fila del Grande Torino e che sarebbe potuto diventare uno dei suoi migliori rappresentanti. Purtroppo però Fadini non riuscì mai a dimostrare di essere il nuovo Mazzola, come molti lo avevano già designato, perché morì proprio accanto al leggendario Valentino nella tragedia di Superga del 4 maggio 1949.
Ferrarese di Jolanda di Savoia, il Comune più basso d’Italia, fu la vittima più giovane di quella sciagura aerea: gli mancavano 27 giorni per compiere 22 anni. Oggi, benché molto anziano, potrebbe essere ancora qui a raccontarci l’epopea del Grande Torino. Lo ha fatto per lui il romanzo Rubens giocava a pallone (uscito nel 2021 per Pendragon) firmato da Stefano Muroni, attore nonché produttore cinematografico, subito premiato col Premio Acqui Storia, che l’autore ha devoluto alla manutenzione del campo della frazione Gherardi di Jolanda di Savoia, su cui Rubens tirò i primi calci.
Fadini era infatti a pieno titolo figlio della bassa ferrarese, nato letteralmente sotto il livello del mare e morto in cielo, quasi per contrappasso. La sua famiglia sbarcava il lunario negli anni della bonifica ferrarese, l’epoca in cui i braccianti si spostavano in cerca di canali da scavare e terre da asciugare. All’inizio della Seconda guerra mondiale i Fadini si trasferirono in Lombardia. Il futuro calciatore giocava in una squadretta di dopolavoristi, la Ceretti & Tanfani di Milano, ditta che si occupava di progettare e costruire funivie per la montagna. Dopo il 1945 fu ingaggiato dalla Gallaratese, viatico verso il – già – Grande Torino di Gabetto, Rigamonti e Castigliano. Nell’ultima partita del campionato, appena prima della tragedia, sostituì l’infortunato Valentino Mazzola contro l’Inter, quasi un passaggio di consegne.
Il suo calcio, dicono i testimoni del tempo, era già moderno, «votato a entrambe le fasi», come direbbe un allenatore di oggi. Muroni ha riannodato i fili di questa vita da predestinato partendo dalle foto di un libro di suo nonno. Ne aveva tratto alcune novelle ambientate ai tempi della bonifica, tra quegli «ultimi indiani scarriolanti», come li definisce nella postfazione. E tra questi racconti ce n’era uno dedicato a Rubens. Da qui l’idea di ritagliare la storia di Fadini per ridare corpo alla più giovane vita tra le 31 che perirono sulla collina maledetta. Non è un libro di calcio, ma più un romanzo di formazione, che lascia intravedere un’altra storia (magari la prossima) dedicata agli operai della Riv della famiglia Agnelli, quelli che a inizio anni Cinquanta furono chiamati a lavorare a Göteborg perché in Svezia, all’epoca, non si trova abbastanza manodopera. Quegli emigranti fondarono una squadra di calcio e la battezzarono Fadini.
Rubens è seppellito ad Arcore, in provincia di Monza, in una tomba sobria, senza fronzoli, con solo il nome di battesimo, l’anno della morte e una foto che lo ritrae con la maglia del Grande Torino. Lo stadio di Giulianova e la via che conduce al campo da calcio di Jolanda di Savoia portano il suo nome.

Luca Baccolini

© Riproduzione Riservata

Foto: torinofc.it