Talenti pronti e tesoretto per il futuro: ecco perché Saputo deve ringraziare Bigon
È vero che a causa degli ultimi due anni, tra COVID e guerra, anche il 2019 ci sembra preistoria. Ma quando si parla di Riccardo Bigon, direttore sportivo uscente pur con un altro anno di contratto in tasca, si deve andare indietro addirittura all’estate 2016. Dunque sei anni di permanenza. Non pochi, in questo calcio cannibale e vorticoso che brucia panchine, scrivanie, uomini e soprattutto anime. E non sono pochi nemmeno per una società come il Bologna di Joey Saputo, che di direttori sportivi ne ha visti transitare cinque in sette anni (compreso Giovanni Sartori, al quale va il nostro più sincero augurio di buon lavoro).
Elogiare chi parte attira sempre il sospetto di piaggeria. Ma siccome al buon Riccardo non abbiamo mai risparmiato nulla, né in complimenti né in critiche, l’ultimo saluto non può che contenere un plauso sincero. Bigon è stato capace di succedere ad un gigante come Pantaleo Corvino e di resistere all’urto di un altro gigante, Walter Sabatini, che (diciamolo con franchezza) da lui, almeno nel periodo bolognese, ha preso più lezioni di quante non ne abbia impartite. Dal d.s. uscente mai una parola fuori posto (anzi, forse una sì, quando disse che avrebbe stappato per la salvezza: a Bologna si pensa ma non si dice), uno stile british che gli ha sempre evitato polemiche, una buona complicità con gli allenatori e un trattamento equanime coi giornalisti. Questo si ricorda di lui.
Sul campo, il primo problema che dovette affrontare fu la cessione di Diawara, che nemmeno si presentò alla partenza per il ritiro di Castelrotto, dichiarandosi di fatto disertore. Operazione non semplice, ma conclusa con successo: con meno della metà dei soldi incassati dal Napoli, Bigon intuì le possibilità nascoste di un trequartista talentuoso ma ancora acerbo, sul quale il Milan non aveva mai creduto. Il suo nome era Simone Verdi e sappiamo quanto ha fruttato alle casse del BFC (quasi 25 milioni, record nella gestione Saputo).
Grazie a Bigon il club ha inaugurato e messo a regime non tanto l’agognato autofinanziamento (vendita e incasso a somma zero), ma di sicuro una promettente nidiata di talenti pronti per la Serie A: Hickey, Svanberg, Schouten, Tomiyasu, Theate, Vignato (forse) e Dijks (in parte). Un po’ meno pronti sono risultati i vari Nagy, Helander, Paz, Falletti, Avenatti, Denswil e Skov Olsen, ma quasi tutti sono stati rivenduti senza provocare perdite significative. A conti fatti, il Bologna di Bigon ha fallito veramente su due nomi: Santander (che pure ha tenuto in piedi il fragilissimo gruppo di Inzaghi, segnando poi nella prima decisiva vittoria con Mihajlovic in panchina) e Falcinelli (valutato 10 milioni nello scambio col Sassuolo per Di Francesco). Sperando che Bonifazi non si aggiunga alla lista: diamogli almeno una seconda chance.
Giuste le intuizioni su Barrow e Orsolini, che salvo intoppi saranno destinati a crescere ancora. Sacrosanta l’idea di puntellare la squadra con uomini di esperienza come Danilo, Dzemaili, Poli e Palacio. Peccato non aver mai trovato, fino ad Arnautovic, una valida alternativa all’argentino, che bomber non lo è mai stato. Disastrosa, ma non occorre sottolinearlo, la scelta di affidarsi a Filippo Inzaghi, dettata però anche dalla fretta di trovare un nome nuovo e più eccitante di Roberto Donadoni. L’errore è stato ampiamente emendato con la chiamata di Sinisa Mihajlovic, che ora sopravviverà a Bigon nel nuovo Bologna targato Sartori. Il quale avvierà una nuova campagna di mercato giovandosi anche e soprattutto delle cessioni di Svanberg e Hickey, dai quali i rossoblù contano di ricavare almeno una trentina di milioni. Saputo sa già a chi dovrà mandare una cassa di champagne.
Luca Baccolini
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Foto: Damiano Fiorentini