Quando parte il tuo giocatore più talentuoso, qualcosa deve cambiare

Quando parte il tuo giocatore più talentuoso, qualcosa deve cambiare

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A prescindere da chi sostituirà Andreas Skov Olsen, il Bologna ha ceduto «il giocatore con più talento della rosa». Lo aveva detto diverse volte Sinisa Mihajlovic e lo ha ribadito, citandolo, Claudio Fenucci. Dunque la scelta di lasciar andare il danese al Club Brugge (non proprio un top club) durante il cosiddetto ‘mercato di riparazione’ non può essere considerata una scelta tecnica. Le prestazioni di Skov con la maglia della sua Nazionale, qualificata al Mondiale con uno dei migliori record europei e ben 5 gol dell’ormai ex rossoblù, hanno dimostrato a tutti le sue grandi qualità, aumentandone il valore nonostante le poco convincenti prove in Serie A, garantendo una plusvalenza al BFC.
A spiegare una scelta comunque razionale della dirigenza di Joey Saputo c’è un giudizio che oltrepassa l’aspetto squisitamente tecnico. L’espressione immutabile alla Harrison Ford del 22enne di Hillerød ne palesava i limiti caratteriali, l’aver ‘bucato’ le innumerevoli possibilità dategli da Mihajlovic in questi due anni e mezzo di permanenza lo ha confermato.
Sul far propendere per il «se ne deve andare» anche il suo allenatore-estimatore credo comunque abbia pesato il cambio di modulo, che ha costretto l’esterno d’attacco mancino a giocare a tutta fascia sulla destra dopo il passaggio dal 4-2-3-1 al 3-4-2-1. Un ruolo in cui Andreas ha dimostrato di avere capacità difensive superiori al suo omologo Orsolini, ma che ne limitava la lucidità in fase offensiva.
Il messaggio di tale cessione è perciò disarmante per chi, come il Tosco e il sottoscritto, era stato conquistato dal modo di giocare spavaldo e sbarazzino del primo Mihajlovic. «Fare un gol più degli avversari» era una filosofia affascinante ed entusiasmante che ha prodotto anche risultati impensabili, dal decimo posto del primo anno a prestazioni maiuscole come le due vittorie consecutive in casa dell’Inter o lo spettacolo del 2-3 in casa della Roma e di tante rimonte con goleade al Dall’Ara.
Quest’anno le aspettative si sono alzate e Sinisa (anche a causa di una partenza in salita) è venuto meno al suo credo calcistico modificando il sistema di gioco, ovvero coprendosi e affidandosi ad Arnautovic. Il (cambio di) gioco è valso la candela, col record di punti a fine girone d’andata (27) e varie note positive: affermazioni casalinghe di spessore contro le due romane, vittorie in trasferta lampanti, molti meno gol presi.
Adesso però, proprio mentre qualcuno vicino a Casteldebole sussurrava di un possibile ritorno al modulo originale di Mihajlovic, la partenza di Skov Olsen lo rende meno credibile. Così come cambiano le prospettive per il girone di ritorno: quando sacrifichi il giocatore con più talento, abbassi il livello tecnico della squadra e devi puntare maggiormente sulla compattezza.
Ci attende dunque una seconda parte di stagione colma di sofferenza, come molti ‘maigoduti’ ipotizzano? Non è detto. Perché il calcio non è una scienza esatta. E l’inaspettata flessibilità di Mihajlovic, sintomo di maturità calcistica e saggezza umana evidentemente acquisita anche nell’esperienza della malattia, potrebbe regalarci qualche sorpresa. Io la butto lì: perché non provare un 4-3-3, il modulo preferito da Orsolini e più utilizzato in carriera da buona parte dei calciatori soprattutto a centrocampo? Aebischer, Dominguez (ora ai box) e Svanberg sono classiche mezzali che giocano meglio a tre, lo stesso Soriano può agire in quella zona, mentre uno Schouten recuperato sarebbe prezioso come vertice basso.
In un processo di crescita i cambiamenti sono necessari. La tranquillità garantita dall’attuale classifica li rende meno rischiosi. Ora che (tocchiamo ferro) s’intravvede luce alla fine del tunnel della pandemia, tornare all’attacco sarebbe un segnale importante per l’intero ambiente rossoblù. Ne abbiamo tutti un gran bisogno.

Massimo Franchi

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