Frammenti del Solferino e del Mirasole Grande - Elegia in sette movimenti (Quinto movimento: La leggenda di Crudele)

Frammenti del Solferino e del Mirasole Grande – Elegia in sette movimenti (Quinto movimento: La leggenda di Crudele)

Tempo di Lettura: 4 minuti

«Se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda». [Dutton Peabody in L’uomo che uccise Liberty Valance]

La leggenda di Crudele nacque ben prima che io approdassi nei Mirasoli per viverci i miei giorni di Clichy.  Ed è con l’eco dei passi che ancora risuona sotto quei portici. che mi accingo a raccontare in modo veridico l’episodio che sovrasta la memoria del Miramonte. E la cui replica fu riservata a me, quando, almeno dieci anni dopo, Crudele mi sforacchiò le orecchie con le forbici intanto che mi rovinava i capelli lunghi assieme alla stima di me medesimo, che avevo un appuntamento lassù con la Vanessa della Lucciola, e come Sansone contavo sui miei capelli, meglio che sulla cartola o l’avvenenza.
A prescindere se il difetto primario cui ho già fatto cenno fosse o no rilevante, fate voi, per il resto la professionalità di Crudele poteva dirsi encomiabile.
Alle 7 del mattino puntuale egli si trovava, proveniente da Monteveglio, davanti alla bottega di via Miramonte, con la canottiera linda sotto il camice bianco, battendo impaziente il piede in attesa del primo cliente. Per non dire della funzione che oggi diremmo di ‘punto di riferimento’ che la sua bottega di fatto costituiva.
Quando Gustén ebbe l’itterizia e se ne stava convalescente in casa, mortificato, magro impalato, con la barba lunga sua moglie gli disse:

«Va bèn zà da Crudele c’al t’ fà la bèrba!». «Scendi giù da Crudele che ti rende presentabile con una rasatura!».

E Crudele, di fronte alla difficoltà dovuta al fatto che Gustén aveva le guance talmente incavate dalla malattia che il rasoio non poteva passarci per acciuffare i peli, non esitò a mettergli due dita in bocca, prima da una parte e poi dall’altra, per spingere fuori la pelle e procedere all’operazione.
Ma la qualità più risaputa di Crudele consisteva nella sua propensione a mettersi in sintonia col cliente, chiunque egli fosse, riconoscendogli al volo gusti, conoscenze e abitudini cui lui, Crudele, aderiva naturalmente. E anzi, esperienze analoghe e più eclatanti ancora di quelle che si potevano presumere come consuete al cliente lui, Crudele, le aveva già a suo tempo praticate. Lo stesso si verificò puntualmente decenni più tardi anche con me, che infatti ero un cliente nuovo, ma questo ve lo racconto dopo.
Crudele, con la sua camicia bianca, aveva ricevuto un cliente inconsueto, capitato lì non si sa come. Pare fosse un pilota di linea o forse uno steward. Si evidenziò in quel momento, nella sua forma oserei dire classica, la vocazione di Crudele a mettersi in sintonia col mondo dell’avventore del momento.

«Chi, mé e Baràca?», scattò a dire Crudele accostando l’indice della mano sinistra all’indice della mano destra: «A îran acsé». «Chi, io e Francesco Baracca? Eravamo intimi».

«Mé a um cazéva ża da l’aparàcc sänza paracadô e lò l’um gnéva a tûr!». «Io mi buttavo giù dall’aeroplano senza paracadute e lui veniva a prendermi!».

Così comincia a rimbalzare la leggenda. Ma decenni dopo la visita del pilota alla bottega di Crudele del Miramonte, e ben dopo anche del mio effimero passaggio, arriviamo agli anni Duemila, si spande per il mondo una moda.
Io dico subito che non amo gli sport cosiddetti estremi, pur nutrendo sacra ammirazione per i temerari che vi si cimentano. E quanto al gusto di assistere al gesto atletico conservo una passionaccia popolare solo per quanto riguarda il calcio, per ragioni che sono a me stesso misteriose ma che di certo posso far risalire all’infanzia e alla prima adolescenza, quando ti bevevi le dispute dei grandi, intenti a discettare con sapienza filosofica sulla ‘classe’, la clâs, e la classe non era acqua, e la sapienza del cross, ma soprattutto sulla la capacità divina di vàdder al zûg, quella visione di gioco che era buio profondo quando sul prato assurto a terreno di gioco, ti spostavano, con decisione improvvida, dalla posizione di terzino a quella di zäntercanp: il mare magnum del grande Brera.
Aggiungiamo che io sbircio la televisione solo di tanto in tanto. Solamente le partite della Nazionale cerco di non perderle e, dagli anni Cinquanta in poi, di notte possono perseguitarmi tutti i gol avversari che ci eternarono le catastrofi.
Dunque ci spostiamo all’inizio del Duemila e una sera che, gettato per caso uno sguardo allo schermo notando un tale vestito con una tuta da pipistrello che si buttava da un aereo senza paracadute e se la filava nel vuoto con le braccia aperte come ali di rondone, mentre l’aeroplano facendo una larga piroetta se lo andava riprendere, facendolo rientrare in carlinga, mi è toccato di sobbalzare. Non tanto per l’eccezionalità dell’esercizio, giacché oramai ti avevano già abituato a tutto. Si trattava infatti del francese Patrick de Gayardon che eseguiva un numero mai tentato da nessuno per quale di lì a poco doveva lasciarci le penne. La meraviglia, dicevo, è che ‘esercizio era stato divinato cinquant’anni prima, nella bottega del barbiere del Miramonte, quello che tagliava la faccia a tutti per tenace imperizia ed entusiasmo di esecuzione. E io immaginai allora che De Gayardon, approdato in Paradiso nel costituito cerchio degli acrobati, discendendo per i cieli in cerca della nuvola dei millantatori buoni, avesse alfine incontrato Crudele:

«Monsieur Crudelí du Miramont?».

«Sgnåur barbastrello, a sån mé!». «Signor pipistrello, sono io!».

«Monsieur, comment avez-vous pu deviner mon geste avec cinquante ans d’avance? C’est peut-être le Saint-Esprit qui vous l’a suggéré?». «Signor Crudele del Miramonte, come ha fatto lei a divinare il mio gesto con cinquant’anni di anticipo? Glielo ha forse suggerito lo Spirito Santo?».

«Chi?», risponde Crudele congiungendo l’indice destro e l’indice sinistro: «Chi, mé e al Padretéran? A sän acsé!».

Bombo

Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, istituzioni, luoghi ed episodi sono frutto dell’immaginazione dell’autore e non sono da considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari, organizzazioni o persone, viventi o defunte, veri o immaginari, è del tutto casuale.

© Riproduzione Riservata

Foto: gelestatic.it