La fola nella parola del pompino della Pescarola

La fola nella parola del pompino della Pescarola

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Un mio amico che è solito viaggiare per il mondo mi dice di una straordinaria scoperta da lui fatta notando un fenomeno manifestarsi sull’intera superficie dei selciati di Londra, sull’intera superficie com’è vero Dio e specialmente nelle strade antistanti pub, discoteche e birrerie, essendo queste aree letteralmente tappezzate, così mi dice, anche se non so in che misura, di strane bombolette. La curiosità lo porta a sollevarne circospetto un esemplare. La sorpresa è la rivelazione di una bella scritta stampata, e la scritta ha un perentorio sapore casereccio, nientemeno che un bolognesissimo cognome. Si saprà che la bomboletta della sorpresa viene chiamata pompino, seguita dal nome dell’inventore.

«L’è mi zìo!». «È mio zio!», esclama stupito l’amico del mio amico.

E qui bisogna fermarsi un attimo per chiamare a raccolta i riferimenti e contestualizzare, come suol dirsi, la vicenda. I nostri due viaggiatori sono bolognesi originari della Pescarola, contrada citata nel diploma di Berengario primo, re d’Italia e imperatore del Sacro Romano Impero che concede la licenza, diremmo oggi, di costruire il mulino della Pescarola e della relativa canaletta della Pescarola, più di mille anni fa, ante che fossero il canale di Reno e il Navile. Più precisamente essi vengono da un po’ più vicino, da Lame-Zanardi ovvero dall’Oca, località che prende il nome dall’osteria che faceva stazione delle merci viaggianti fuori di porta delle Lame e di cui si sono perse le vestigia. Oggi sussiste la fermata dell’autobus tra Zanardi e Marco Polo, dove adesso c’è l’Ipercop. Questo è un quartiere ancor oggi socialmente molto coeso. Nel Dopoguerra vi costruirono alla rinfusa, in fretta e furia senza fondamenta, le casine rosse per gli sfollati e i senzatetto da bombardamento. Più in qua c’erano i casamenti denominati gli Umili, mentre più in fondo c’erano i Topi.
Quando si era trattato di assegnare gli appartamenti agli sfollati non è che si andò tanto per il sottile o con scale di priorità, per cui capitò che a famiglie di otto persone venisse assegnata una casa con una stanza, mentre a una famiglia di quattro persone venisse assegnata una casa con due stanze. Per rendersi conto della qualità umana di quella gente, bisogna pensare che spontaneamente i gruppi familiari organizzavano da se stessi traslochi incrociati per ricollocare i nuclei più numerosi nelle case più spaziose e viceversa. Il caso e la storia vogliono che la vicenda della nostra misteriosa bomboletta incroci il suo destino nella casa che fu assegnata alla famiglia del nostro redattore detto il Valoroso. Intanto riporta il resoconto del reciproco trasloco tra due famiglie del suo caseggiato alloggiate in appartamenti l’uno a un piano e l’altra a quello di sotto e che si rese opportuno di fare, non so perché, proprio all’ora di pranzo, col soffritto sul pipigas e la pentola col brodo che bolliva.

«Oh! Noi saremmo pronti!».

Eccoli che si passano dalle finestre di sotto a sopra e di sopra a sotto anche le casseruole col friggione che pippa, le pignatte con l’acqua che borbotta e le casseruole coi fagioli stufati per finire a cottura nei nuovi fornelli. Quindi ancora si srotola il filo che porta al pompino. La famiglia della mamma del Valoroso era la sola a possedere un televisore, siccome con sacrificio avevano comprato ‘sto apparecchio affinché tenesse compagnia a una zia inferma. Per questo il vicinato prese lì a radunarsi: intanto per guardare Lascia o raddoppia, ma poi mettevano il grammofono, spostavano le seggiole e si mettevano a ballare. Il più bello della famiglia era lo zio Enrico, che aveva sempre la camicia nuova, e anche sua sorella Giovanna era bella, e una sera che per televisione davano il famoso La strada di Fellini vennero anche due delle filarine di Enrico che avranno poi un ruolo fondamentale. Erano infatti la Poppy Occhio di lince, cosiddetta per un vezzo assassino all’occhio sinistro, che era la più bella e la più corteggiata del quartiere, e poi la Virna, che accompagnava quel bel tipo di suo fratello, terrone naturalizzato alla Pescarola, di tutti il più bello e il più scanzonato, eternamente disoccupato; e che sempre per congiura del destino era stato da piccolo compagno di banco, alle scuole Sassoli, dell’inventore del pompino.
Anche la Virna era molto corteggiata e un giorno che era tornata a casa con l’ombrello rotto, e allora l’ombrello era un ombrello e non si dimenticava in giro come succede oggi, dovette giustificarsi raccontando come lo aveva rotto in testa a Gianni Spudâcia che non la lasciava stare. Erano tanti quelli che rifiutò, tra cui Mario l’Asino, chiamato così forse perché in bolognese si dice che fa l’asino uno di carattere scherzoso o forse perché lo avevano preso per uno senza futuro. Mario l’Asino all’epoca faceva lo straccivendolo ma negli anni diventò un grande commerciante di tessuti e scambiò merce per ogni dove. A parte la Virna che vinse la concorrenza delle amiche sposando lo zio del nostro redattore, come detto il più bello della famiglia, la Poppy Occhio di lince andò a sposare l’inventore del pompino e per questo è protagonista nella nostra storia oltre la sua leggendaria bellezza. La Giovanna invece diventò la madre del nostro redattore sposando il fratello della Virna, e più tardi andò a lavorare in via Amendola alla Cine Film dove passavano le pellicole, cioè le riparavano, nientemeno che antesignani della cineteca di Bologna.
L’azienda, come tutti i palazzi circostanti, erano di Renato Dall’Ara, il presidentissimo del Bologna. In quella strada non si conosceva argomento di conversazione che non fosse la squadra di calcio. Dalla domenica sera al mercoledì si parlava della partita appena disputata, e dal giovedì alla domenica mattina di quella seguente. E anche la Giovanna doveva destreggiarsi tra i corteggiamenti dei giocatori che abitavano nelle case del presidente, regolarmente pedinati e redarguiti dagli allenatori di turno. C’era ancora il Pivatelli dalla micidiale castagna e stava proprio allora per arrivare un certo ventenne danese. Erano gli anni in cui si formò l’ossatura di quel Bologna che poi avrebbe vinto lo scudetto del ’64. Oggi i protagonisti di quella stagione sono quasi tutti morti, anche se sopravvive quello che nel tempo è diventato il più esemplare di tutti e che risponde al nome di Johnny Capra.
Quanto alla contrada dell’Oca, allorché le case rosse furono abbattute e vennero assegnati gli appartamenti dell’Ente Autonomo, i residenti di prima si ritrovarono non di rado ricollocati negli stessi spazi, ed è per questo che si conoscono ancora più o meno tutti ed è per questo che io sono costretto a glissare su nomi e particolari. Però, della mitica prima generazione della contrada dell’Oca sopravvive solamente e con emblematico nome solo Chicchi Vivente, pittore futurista che ha negozio di quadri e cornici in via della Beverara  che non disdegna di raccontare le barzellette su Internet… E che gira con in mano un guinzaglio ma il cane non c’è.
In definitiva era successo che sulle tracce dello spensierato Mario l’Asino, anche lo zio dell’amico del mio amico, marito della Poppy, in un’officina della contrada dell’Oca si espresse come inventore e quale meccanico di biciclette inventò innumerevoli pompe per gonfiare i copertoni. E ne inventò di sempre più pratiche e miniaturizzate, fino a questa prodigiosa bomboletta detta pompino che gonfia il copertone istantaneamente. Non si capisce bene, ma sembra che i ragazzotti di ogni dove mettano sulla valvola del pompino una certa sostanza e che la bomboletta, non avendo facoltà di distinguere tra un umano un po’ fatto e una mescola gommosa, spari fuori di botto il suo contenuto e garantisca un’oretta di sballo. Ed è così che il nome della meccanica bolognese per le strade e le piazze del mondo batte l’ali, e per il gioioso infernuccio delle notti gloriosamente si spande.

Bombo

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