Silverio Sinistrato in viaggio verso Brema - Favola notturna (1^ parte)

Silverio Sinistrato in viaggio verso Brema – Favola notturna (1^ parte)

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Quella notte Silverio Sinistrato si svegliò come se la più grande luna che aveva mai visto si fosse posata sul colle di San Luca.
Perché una luna così, non capiva.
Perché si fosse svegliato era invece affare di tutte le notti da quando, oramai insopportabile, si ripeteva senza posa lo stesso sogno.
Silverio si vedeva da piccolo mentre, correndo da solo lungo l’argine della marrana, ad inseguire le onde che si accavallavano torbide e gialle, dopo una bufera d’estate, ingorde di sterpaglia strappata, rami scavezzati e animali morti, s’imbatteva in un cagnetto tutto bagnato e infreddolito, sotto i filari di gelsi gocciolanti, nei campi in fondo alla bonifica. Sentivi grondare ancora, nell’evocazione del sogno, le larghe foglie intrise della pioggia gelida della tempesta. Cucciolo in braccio al bambino, batticuore selvaggio, l’uno e l’altro prendevano la strada di casa. Poi, una volta dentro, Silverio arraffava nelle dispense e nei cassettoni pane e zampe di gallina e il cagnetto si riprendeva come d’incanto, mentre la tristezza volgeva d’un tratto in felicità. Saltava il cane a destra e a manca con la lingua di fuori e abbaiando con latrati brevi e squillanti; si rotolava il bambino sui sacchi di grano, aspettando gli assalti del cucciolo e i morsi giocosi dei denti aguzzi. In casa invece, la bestiola non piaceva a nessuno. Negli antri di colore giallastro dei lumi a petrolio, nessuno dei vecchi zii e dei cugini più grandi sembrava gradire il nuovo arrivato. Tutti dicevano di avere ben altro da fare che badare ad un cane e ben altro da fare che dargli da mangiare. E al calare della sera lo relegavano nella stalla.

«Vârda che ‘sta nòte nó l bàja!», udì ammonire nella lingua delle origini.

Ma durante la notte il cagnetto, che si sentiva solo, uggiolava da fare pietà, riempiendo di apprensione Silverio che stava raggomitolato sotto le coperte.

«Côpalo, òstia!», rimbombava ancora una voce nel sogno di Silverio.

E una processione di gente scendeva con la lanterna e con un sacco di juta, ci metteva dentro a forza il cagnetto e cominciava a sbatterlo contro una colonna della stalla una volta… due volte… tre volte, non sapeva più quante volte, finché una macchia non si allargava sulle pietre, mentre il bestiame incatenato alle poste si impennava con tremendi strattoni, terrorizzato dal sentore del sangue. Finché nel sacco non restava che materia informe e silenzio.
A questo punto Silverio si svegliava sfinito e col cuore in tumulto e ne aveva per tutto il giorno seguente. Chi gli avesse ammazzato il cagnetto in quel modo barbarico, se lo chiedeva ogni volta che mi vedeva: forse il suo lontano cugino Guidone o forse il vecchio prozio Genoveffo.

«E comunque non l’ho protetto – si accusava ogni volta –. Sono stato pigro a non sgattaiolare giù per fargli compagnia, così smetteva di uggiolare, e nessuno avrebbe avuto più niente da dire».

Il fatto è che, da qualche tempo, Silverio era cambiato. Si faceva vedere raramente in giro. Si metteva sempre gli stessi vestiti. Dice che si faceva la doccia solo per non fare schifo al prossimo. Diceva anche che pensava al passato e che questo gli si rivoltava contro a tutte le ore, come se portasse al guinzaglio una bestia feroce. Adesso ce l’aveva con questa storia del cane che gli appariva in sogno, e sinceramente tutti quei piagnistei cominciavano ad essere pesanti.

«Stanotte faccio diverso», si ripropose ad un certo punto.

Aveva stabilito infatti che, allorché il sogno fosse tornato, lui nel sonno sarebbe sceso giù nella stalla notturna e avrebbe dormito sulla paglia accanto al cagnetto acquietato. Quale liberatoria conseguenza, il cane sarebbe tornato in vita e lui, Silverio, si sarebbe ripreso la sua. Invece le cose non andavano mai così.

«Stanotte ho udito il guaito», mi disse Silverio, e io stesso dovetti rabbrividire.

Lui nel sogno stava rannicchiato sotto le coperte, incapace di muoversi, la processione si era ripetuta e si era ripetuto lo scempio, al lume delle lanterne e sotto il muggito folle del bestiame.

«Questo ricordare non ti serve a niente», cercai di ammonirlo.

Che si mettesse in qualche associazione. Che si desse da fare. Così, mantenendo i discorsi su un piano di ragionevolezza, evitavo di fargli presente che, in alternativa, restava solo di affidarsi ai medici e ai farmaci. Lui però mi rispondeva che non aveva bisogno di qualcuno che ragionasse al suo posto. Né tantomeno intendeva cancellare la realtà con le medicine.

«È quel guaito lì la sola cosa che esiste e che sempre esisterà», ripeteva fino allo sfinimento.

Anzi, perché si capisca bene a che punto di estraniazione eravamo arrivati, lui mi disse per la precisione che quel guaito era la sola cosa vera che echeggiava per l’universo. Proprio così, che echeggiava. A meno che la volta successiva non gli riuscisse di capovolgere l’ordine del tempo.

«Stanotte scendo e lo difendo io personalmente! Gli faccio scudo col mio corpo, morsico chi si avvicina. Il cagnetto vivrà ed io potrò dormire in pace».

Invece quella volta Silverio mi telefonò che ero nel profondo del sonno.

«Ancora quel tuo cane?», gli risposi esasperato.

«È che sopra San Luca c’è una luna così grande come non l’avevo mai vista…».

«Ed è per la luna che mi telefoni nel pieno della notte? Stai contento e goditi lo spettacolo!».

«No – continuò con calma –, stanotte ho sognato che il cagnetto lo ammazzavo io».

«Ah! Questa poi! Convinciti che è solo un sogno – e giù madonne telefoniche – e che quando ti svegli il mondo è normale!».

«Forse io per scansare fastidi…».

«Tu ti vuoi rovinare da solo».

«Forse per dimostrare della forza al cospetto degli altri…».

«Di bene in meglio, e adesso cosa vogliamo fare? Ti prendo appuntamento con uno dell’uesseelle o preferisci farti ricoverare col tiesseò?».

        «Adesso ho deciso di partire per Brema».

        «Brema! E cosa vuol dire? Sei già diventato matto del tutto?».

«Perché Brema non so, ma è forse per la luna. Ho ammazzato il cagnetto senza bisogno di lanterna, perché c’era la luna in cielo».

E mise giù la cornetta.
Da allora non l’ho più visto né sentito. Però ho cercato di riaddormentarmi subito. Non mi sono svegliato fino a tardi e ho sognato anch’io. Ho pensato confusamente nel dormiveglia ed ho sognato ancora. Ho visto la luna di Silverio che affondava velocemente dietro il colle di San Luca, e Silverio che partiva per Brema.

Bombo

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