Silverio Sinistrato in viaggio verso Brema - Favola notturna (3^ parte)

Silverio Sinistrato in viaggio verso Brema – Favola notturna (3^ parte)

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Silverio si svegliò in una stazione sconosciuta, perché qualcuno picchiettava con un martello sulle ruote metalliche dei carrelli mentre, con impercettibile respiro, già trascolorava l’alba il cielo di cobalto. Il suo amico postale, di certo era dovuto scendere a qualche ufficio di provincia. Era di nuovo solo e aveva sete, e così saltò giù per bere alla fontana. Ma era già ora che il treno ripartisse e così Saverio restò a terra.

«E adesso che cosa faccio? – si domandò, poi vide un cartello che indicava Brennerpass –. Poco male, adesso procedo a piedi».

Fu qui che conobbe per caso il camionista ubriaco Milos Crnjanski, che parlava anche italiano.

«Ti porto io fin su in Germania – disse Milos – sali in cabina».

«Porti il nome di un uomo molto importante», azzardò Silverio, ricordando l’episodio di un segaossa scolastico.

«Si, io so – rispose Milos –, io studiato università di Belgrado. Io so come migravano miei antenati. Io so anche esatto come vestita Anna Karenina mentre aspetta treno».

E Milos portò il suo mezzo a folle velocità lungo viadotti di paurosa altitudine, superando a destra e a sinistra colonne di camion con scritte le pubblicità di tutto il mondo. Per il resto del viaggio parlò e raccontò:

«Quando scoppiata guerra io pianto. Poi combattuto e combattuto cattivo».

Ed ogni storia ricordava a Silverio quella sua vicenda di tanti anni prima. Adesso Milos andava su e giù con il camion per tutta l’Europa.

«Zbogom», addio, gli disse alla fine, prima di scaricarlo ad un crocicchio in mezzo alla brughiera.

E Silverio camminò per giorni e giorni su strade diverse, mangiando in giro nei chioschi solo qualche wurstel coi crauti e dormendo nelle pensioncine. E camminando ancora arrivò sul limitare di tanta distesa di paludi.

«Questi qua son come i ferraresi – pensò Silverio –. Anguille e fatica, tanta strada e mi ritrovo a casa mia…».

Cammina e cammina, le gambe gli si fecero pesanti, finché di nuovo scese la notte, e la luna tornò a spandere il suo chiarore sulla campagna e sui pantani.

«O luna mi hai proprio scocciato – ricominciò a dire Silverio guardando in alto –. Tu continui a venirmi dietro come se niente fosse, mentre io non sono più sul treno e non corro neanche in mezzo al frumentone di quando ero piccolo. Sono in mezzo agli acquitrini di Brema. C’è il vento, ho freddo. E sono stanco morto».

Intanto si accorse di una casa appartata, al centro di una staccionata di legno, dentro cui tremolava una luce. Ricordò che un tempo, nella casa di suo padre, certi viandanti venivano verso sera a chiedere di dormire nel pagliaio.

«Adesso chiedo se hanno un pagliaio», pensò.

E così provò ad avvicinarsi. Una forma che stava immobile sotto un albero improvvisamente balzò in piedi. Era un asino ed intimava:

«Chi è là!?».

«Non sarà certo il primo asino che parla – pensò Silverio senza meravigliarsi –. Io stesso ho detto un sacco di asinate e tutti mi hanno sempre ascoltato con pazienza. Infatti, guarda caso, parla anche la mia lingua». Così rispose: «Mi chiamo Silverio Sinistrato e vorrei andare a Brema, non so neanch’io perché. Potrei intanto riposare qui per una notte?».

«Mi sa che ti stavamo aspettando – rispose l’asino –. Ma dimmi piuttosto, sei anche tu un suonatore?».

«No, non so suonare per niente, e a volte me ne vergogno».

«Però stai scappando da qualcuno che ti vuol fare la pelle», continuò l’asino.

«Questo asino è meno asino di quanto pensassi, anzi mi sembra che la sappia piuttosto lunga», pensò Silverio. «Nessuno mi vuol fare la pelle, sto scappando da me stesso», rispose.

Nel mentre saltò fuori un vecchio cane spinone, di quelli che erano andati a caccia tutta la vita.

«Sta a vedere che anche questo parla e dirà cose da cani», pensò Silverio.

Invece il cane parlò e disse:

«Se stai scappando da te stesso, allora è ancora peggio».

«Questa gente animale dice cose sensate – dovette ammettere ancora Silverio –, chi l’avrebbe mai detto?».

«Ma non ti devi preoccupare – soggiunse un gatto che, avvicinandosi a passi felpati, aveva seguito la conversazione –. Noi abbiamo scacciato i briganti, scacceremo anche i tuoi fantasmi».

«Porca vacca! – esclamò allora Silverio battendosi la fronte –. Io vi conosco! Ci siamo incontrati quando ero piccolo, poi mi sono completamente dimenticato di voi. Sarà per questo che ho combinato tanti disastri».

«Resta qui con noi!», starnazzò un gallo che era salito sulla staccionata.

«Mancavi solo tu – disse alfine Silverio che cominciava a sentirsi felice –. Davvero mi prendete con voi?».

«Nessuna fatica…», asserì grave l’asino abbassando la testa. E poi smusando d’attorno: «Ma tu sapevi coltivare la spagna e il trifoglio…».

«Certo, sono un contadino. La semenza d’erba medica era la più lucente di tutta la campagna della semina».

«Ecco appunto – sembrò tirare le somme l’asino –, che tempo di seminare ne avremo parecchio…».

«Scommetto che sapresti riparare il tetto del mio casotto», azzardò il cane.

«Certo che sì. Mio nonno era falegname».

«Bene – continuò il cane spinone  –, che tempo ne avremo di martellare…».

«E favole, sai raccontarne di favole?», chiese come a conferma il gallo, starnazzando all’intorno.

«Un poco. Ma finiscono tutte come questa».

«Bene, le racconterai di notte, fino a quando alla mattina non canterò».

«Mi sa che il posto che ti piace è con me al calduccio, lì presso la cenere e le braci – disse il gatto che aveva preso a strusciarsi attorno ai pantaloni –. Ma sei buono di accendere il camino?».

«Sì son capace. Sono nato laggiù nella Bassa, in una catapecchia come questa».

«Facciamo che è fatta – concluse l’asino –. Questa è una casa in cui si sta benissimo anche in cinque. Adesso andiamo tutti a dormire che domattina ci pensiamo«.

Intanto, tra la bruma dei terrapieni, calava enorme la luna.

«Tu puoi dormire accanto alla cenere del camino insieme al gatto – disse il somaro –, starai bene».

Oltre la soglia della capanna, Silverio si avvicinò al focolare, avanti cui una grande panca era piena di vecchie coperte di lana. Era il focolare della casa della sua infanzia.

«Adesso capisco – pensò – perché la luna mi ha condotto fin qua».

Il gatto dormiva allungato sulla cenere. Una pace sovrumana discese su Silverio come se, crollando, si fosse d’un tratto adagiato, quale palmo di madre, il vento obliquo e sinistro delle paludi, mentre la luna filtrava immobile da un pertugio sul tetto. Il gatto si era messo a fare le fusa. E, finalmente, anche Silverio si addormentò.

Quando nel vicinato non videro più Silverio, chiamarono per scrupolo i carabinieri, e qualcuno che aveva del tempo da perdere si rivolse anche a ‘Chi l’ha visto?’. Nessuno però venne a capo di niente. Ma fidati, nipotina, che io so come sono andate le cose, e solo a te le ho raccontate.

Bombo

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Foto: ercolebonjean.com