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Binotto: “Che doppietta in semifinale a Firenze, forse col VAR saremmo passati noi… Il gruppo attuale ricorda il nostro, Motta fa un calcio di alto livello”

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Uno dei tornanti più amati nella storia recente del Bologna risponde al nome di Jonatan Binotto, protagonista dal 1998 al 2001 e poi nel 2004-2005 per un totale di 90 partite, 9 gol e 13 assist. Sarebbe però riduttivo fermarsi ai freddi numeri: Binotto è uno dei simboli della magica e lunghissima stagione 1998/99, iniziata il 18 luglio in Intertoto con la sfida al National Bucarest e conclusasi il 30 maggio seguente al termine del doppio spareggio UEFA contro l’Inter per garantirsi di nuovo l’Europa. In mezzo gioie, dolori ed emozioni: come quelle vissute la sera del 10 marzo 1999 allo stadio Franchi di Firenze, quando una sua doppietta accese la speranza di un clamoroso accesso alla finale di Coppa Italia, sfumato solo ai tempi supplementari. Venticinque anni dopo lo stesso palcoscenico e la stessa competizione, seppure nei quarti: da questa curiosa coincidenza è nata una piacevole chiacchierata con Jonatan tra passato, presente e futuro rossoblù.

Jonatan, partiamo da te: come prosegue il tuo percorso nel mondo del calcio? «Proprio in settimana sono ritornato all’Alessandria, in Serie C, come vice del mister Marco Banchini, richiamato alla guida della squadra dopo l’esonero del 21 novembre. Avevo iniziato questa esperienza al suo fianco l’anno scorso: cerco di portare nel gruppo quello che è stato il mio passato da giocatore e trasmettere le competenze acquisite nelle mie precedenti esperienze da tecnico. Ora la classifica ci vede all’ultimo posto ma siamo fortemente determinati nel voler centrare l’obiettivo salvezza».

Il Bologna invece è quinto con 32 punti al giro di boa: credi che i rossoblù possano giocarsi un piazzamento europeo fino alla fine? «È un terno al lotto, perché forse il Bologna ha qualcosa in meno delle contendenti ma alcune big non stanno dimostrando il loro reale valore e chissà se ci riusciranno. Quello che fa ben sperare è constatare come sia maturata la classifica dei rossoblù: a parte il piccolo calo attuale, fisiologico poiché è difficile mantenere a lungo ritmi così elevati e una tale continuità di rendimento, tutti i punti sono arrivati grazie ad una proposta calcistica ben precisa e di alto livello: in ogni gara, contro qualsiasi avversario, i ragazzi di Motta tengono in mano il pallino del gioco, questa è la loro grande forza».

Da allenatore, cosa ti piace e attrae di più del calcio di Thiago? «Mi piace questo calcio fatto di letture e movimenti continui, in cui non si lavora su ruoli fissi ma sulle posizioni che i giocatori devono andare ad occupare. Il dominio avviene tramite il possesso palla nella metà campo avversaria, un po’ meno incisivo nelle ultime due-tre partite perché ovviamente le altre squadre ti studiano e si adeguano. È un calcio fatto di autostima e sicurezza, consapevole delle proprie qualità e di ciò che si propone: la mano dell’allenatore e le sue idee sono evidenti, ma sono determinanti anche la disponibilità e l’applicazione dei giocatori».

Se ti dico Coppa Italia e Fiorentina-Bologna la mente non può che tornare a quella sfida del 1999, alla tua doppietta e alla finale sfiorata… «Quella sera avremmo potuto scrivere la storia: dopo aver perso 2-0 in casa, a Firenze andammo avanti 2-0 con due miei gol e la Fiorentina ci raggiunse sul 2-2 solo nei supplementari. Purtroppo nel corso della gara non ci fischiarono un rigore solare per un evidente tocco di braccio di Torricelli, forse se all’epoca ci fosse stato il VAR saremmo andati in finale noi… Resta comunque una partita che mi porto ancora dentro: non ero abituato a segnare, figuriamoci a realizzare una doppietta in semifinale di Coppa Italia (ride, ndr)».

Martedì sera le cose andranno diversamente? Cosa manca a questo Bologna per eguagliare la Fiorentina? «Secondo me non manca niente, è vero che i viola giocano già in Europa da un paio d’anni ma ormai le due squadre si equivalgono. Nel Bologna, in particolare, si percepisce la consapevolezza di chi sta facendo qualcosa di importante e lo sta facendo divertendosi. Il gruppo attuale, in termini di compattezza e feeling con la piazza, mi ricorda molto il nostro: chissà che i ragazzi non riescano a ripetere quanto fatto da noi, o magari anche di più…».

Calafiori e Zirkzee in copertina, ma quali altri singoli apprezzi particolarmente? E chi, al contrario, ti sta un po’ deludendo? «Al momento non vedo nessuno sottotono, forse solo Orsolini deve ritrovarsi a pieno dopo il problema muscolare ma ha le caratteristiche per riaccendersi in un attimo. Tutta la squadra continua a crescere e può farlo ulteriormente, vista l’età media piuttosto bassa: è difficile focalizzarsi solo su alcuni elementi, l’intero gruppo merita un plauso enorme».

Qualche guizzo, gol e assist in più dagli esterni, però, non guasterebbe… «Certo, ma Karlsson è fuori causa da tempo, e Ndoye si è fermato proprio quando pareva in rampa di lancio. Saelemaekers è un giocatore di qualità e quantità, magari non segna ma aiuta a segnare e si spende tantissimo per i compagni. Forse l’unico piccolo neo di questa squadra è la fase realizzativa, in rapporto alla mole di gioco espressa. Vero è che il Bologna non prende tanti gol, e storicamente subire poco è determinante per stare nelle zone nobili della classifica».

Gennaio mese di mercato: preservare gli equilibri di una squadra che vince e convince o intervenire con qualche innesto? «Io non toccherei nulla o quasi, forse l’unico acquisto che valuterei è quello di una punta. E non per forza con le stesse caratteristiche di Zirkzee, un vice puro e semplice, l’ideale sarebbe trovare un attaccante compatibile con le peculiarità del gioco di Motta e dello stesso Joshua, magari per affrontare determinate partite in maniera differente».

In chiusura, un altro tuffo nella magica stagione 1998/99, con Carletto Mazzone in panchina: quali ricordi ed emozioni conservi? «Fu un’annata fantastica vissuta a pieno da tutti quanti, dal presidente Gazzoni fino a noi giocatori, passando per l’entusiasmo dei tifosi che ci sostenevano domenica dopo domenica e anche a metà settimana in giro per l’Europa. Quello era un gruppo straordinario, in simbiosi dentro e fuori dal campo, guidato da un grande maestro come Mazzone: un vero e proprio papà, ti dava un calcio nel sedere quando doveva ma poi in pubblico ti difendeva a spada tratta, nessuno poteva dire nulla di un suo ragazzo e questo era gratificante, ti portava a dare il 200% per lui ogni giorno. Talvolta ci sentiamo e ci ritroviamo tra di noi, siamo rimasti molto uniti e il mister è sempre nel nostro cuore».

Riccardo Rimondi

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