Marocchi:

Marocchi: “Sono nato e morirò tifoso del Bologna, ma sul lavoro non esistono maglie. Con Motta ci si può ripetere, punto tutto su Zirkzee”

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Giancarlo Marocchi, per gli amici ‘Ciccio’, è stato senza dubbio uno dei migliori giocatori che il settore giovanile del Bologna abbia mai prodotto. Imolese doc classe 1965, centrocampista di piede, gamba e cervello, fra il 1983 e il 1988 ha contribuito alle promozioni dei felsinei prima dalla C1 alla B con Giancarlo Cadè e poi dalla B alla A con Gigi Maifredi. Successivamente il passaggio alla Juventus, vincendo tutto e conquistando anche la Nazionale, infine il ritorno sotto le Due Torri sotto la presidenza Gazzoni, sfiorando la finale sia di Coppa UEFA che Coppa Italia nella stagione 1998/99: in totale, 345 presenze e 23 gol. Da diversi anni Marocchi, che del BFC è stato anche team manager e responsabile proprio del vivaio, lavora per Sky Sport e commenta le partite con occhio attento e animo imparziale. Dentro di lui, però, batte un cuore rossoblù, quello che oggi ci ha aperto durante una piacevole chiacchierata tra passato, presente e futuro.

Giancarlo, cosa è lecito augurarsi per un Bologna che in estate ha cambiato volto? «Ripetere il campionato dell’anno scorso sarebbe già un grande traguardo, perché si è trattato davvero di una stagione splendida, con tante belle partite e risultati di prestigio. Il mercato è stato fatto anche e soprattutto in funzione di ciò che preferisce avere a disposizione Motta, sono usciti in primis due attaccanti (Arnautovic e Barrow, ndr) e sono arrivati diversi centrocampisti ed esterni. L’idea di gioco dell’allenatore è ben definita e le trattative sono andate in quella direzione».

Cosa pensi degli addii di Dominguez e Schouten? Ciclo giunto ormai al termine o si poteva proseguire insieme? «Mi è dispiaciuto in particolare per Schouten, specie considerando chi lo aveva a mano: Motta è stato un ottimo regista con una fantastica visione di gioco, quindi mi aspettavo la permanenza dell’olandese per un altro anno con l’obiettivo di crescere ancora, arrivando poi magari ad essere richiesto dai top club europei. Per quanto riguarda invece Dominguez, che era in scadenza nel 2024, alla fine è stata un’operazione che ha soddisfatto tutte le parti in causa».

Ti piace e convince il nuovo centrocampo? Come si ridefinisce dopo le due uscite di cui sopra? «Quando un allenatore è stato un certo tipo di calciatore, mi aspetto sempre che in campo desideri qualcuno a sua immagine e somiglianza, invece la rosa attuale conta centrocampisti di movimento e inserimento e il simbolo è Ferguson, che Motta non toglie quasi mai. Fraseggio e palleggio come nella passata stagione resteranno, infatti si sono già ricominciati a vedere, poi si cercherà il vero regista della squadra che potrebbe essere Zirzkee…».

A proposito di Zirkzee, riuscirà a non far rimpiangere Arnautovic? «Mi auguro che le giochi tutte o quasi, mi piacciono i giocatori molto tecnici come lui: è ancora giovane e ci sta che qualche partita possa sbagliarla, spero che gli eventuali passaggi a vuoto gli vengano perdonati perché può fare veramente la differenza. Dai difensori o dai centrocampisti bassi si potrebbe andare direttamente su di lui e da lì iniziare l’azione offensiva, ha colpi per mandare in gol i compagni ma anche per concludere con classe e precisione, l’ha già dimostrato. Chiaramente intorno a Zirkzee devono esserci tre-quattro elementi che riempiano l’area e sappiano finalizzare quanto viene creato».

Orsolini di nuovo in Nazionale dopo quasi tre anni, intanto in rossoblù la concorrenza è aumentata… «Spero di rivedere in azione l’Orsolini dello scorso campionato, è un giocatore che apprezzo particolarmente perché segna e prova sempre a saltare l’uomo, poi non perde mai il sorriso anche quando viene criticato e questa non è una cosa da poco. Qualche volta gli potrà toccare la panchina, vista la presenza di altri esterni di spessore, ma spero il meno possibile».

Amarcord rossoblù: un tuo ricordo di Carletto Mazzone, scomparso il 19 agosto. «Con Mazzone a Bologna ho condiviso due esperienze da calciatore e una nelle vesti di team manager. Lui è stato veramente l’allenatore di tutti, non solo dei suoi giocatori, perché col suo modo di essere sapeva farsi apprezzare in maniera universale. E poi ha lanciato da titolare Totti alla Roma e cambiato ruolo a Pirlo al Brescia, solo per citare due meravigliose intuizioni. Quando a me, ricordo che da ragazzino nel 1985 mi presentai una settimana dopo in ritiro visto che era l’anno del mio servizio militare, e non appena arrivai mi prese subito sotto la sua ala per mostrarmi nel dettaglio schemi e idee di calcio: era un tecnico molto preparato e aveva un modo di comunicare davvero piacevole e unico».

Ripensi mai in particolare a quella bellissima cavalcata tra Coppa UEFA e Coppa Italia? «Nel Bologna ho giocato dieci anni e conservo emozioni indelebili, è bello girare per strada e trovare ancora tifosi che ricordano con orgoglio annate come quelle di Maifredi e Mazzone. La stagione 1998/99, malgrado l’amarezza per il modo in cui si sono concluse le due semifinali, è stata di grande festa, per questo prima o poi sarebbe bello tornare a fare un giro in Europa: le serate di coppa sono diverse dalle altre, hanno un fascino e un sapore particolare».

Come commentatore avverti poca simpatia nei tuoi confronti da parte dei bolognesi? Ti sei dato una spiegazione? «Io sono nato e morirò tifoso del Bologna, questo è un fatto molto personale ed intimo. Ho la fortuna e il piacere di lavorare a Sky con la massima libertà: di fronte ad ogni partita sono curioso e cerco di raccontarla evidenziando quello che per me è importante, si tratti di belle azioni o di episodi controversi, mantenendo la giusta distanza. Nella vita ho scelto i colori rossoblù e così sarà per sempre, ma sul lavoro le maglie non esistono».

Riccardo Rimondi

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