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Barrow: “Sinisa e Thiago, le canzoni di Dalla e i tifosi, i sogni europei e mondiali: il mio calcio è divertimento, per il Bologna farei anche il terzino”

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Musa Barrow è lontano anni luce dallo stereotipo del calciatore moderno: timido, riservato, gentile ed estremamente umile. Il successo che ha ottenuto sembra quasi metterlo a disagio, consapevole di aver avuto un percorso più agevole (si fa per dire) rispetto ad altri ragazzi africani che hanno cercato fortuna in Europa. Merito della sua ostinazione e dei sacrifici di mamma Fatoumatta, insegnante, che dopo la prematura scomparsa del marito si è fatta in quattro, sostenuta dai suoi due fratelli emigrati in America dal Gambia, per assecondare il sogno calcistico del figlio. Un sogno diventato realtà nell’Atalanta e poi plasmato a Bologna da Sinisa Mihajlovic, molto più di un allenatore per Musa. Chissà, forse è proprio il carattere a frenarlo un po’ in campo, dove talvolta dà l’impressione di non essere abbastanza ‘cattivo’, o di non credere a pieno in se stesso. Eppure il talento non gli manca, così come le qualità che sotto le Due Torri sono emerse in tutto il loro splendore nella prima metà del 2020, quando Barrow diede l’impressione di essere un predestinato. Le cose sono via via cambiate e il suo rendimento non è più stato lo stesso, eppure un ruolo da protagonista in questa squadra l’ha sempre avuto, magari più defilato e meno appariscente ma comunque prezioso: 27 gol e 25 assist in 125 partite non sono un brutto bottino, ma lui per primo sa che può e deve fare meglio. Oggi, a tre giorni dalla gara esterna contro la Cremonese, l’abbiamo intervistato in esclusiva a Casteldebole per parlare di lui e dei rossoblù di Thiago Motta, chiamati a ritrovare la vittoria dopo oltre un mese e a rimettere le mani sull’ottavo posto.

Musa, partiamo dalla stretta attualità: contro la Roma un punto guadagnato o due punti persi? «Quando te la giochi alla pari con una grande, e in questo 2023 è stato sempre così al Dall’Ara, alla fine se non riesci a vincere un po’ di rammarico ti resta. Però siamo consapevoli di averci provato con tutti i mezzi a nostra disposizione e che appunto la Roma è un’ottima squadra, perciò lo considero un buon risultato».

Bene contro le big, ma sabato a Cremona non dovrete ripetere le prestazioni di Verona ed Empoli… «In Serie A non esistono partite facili, e quella di sabato non sarà da meno, però dobbiamo, vogliamo e possiamo vincere: per usare le parole del mister, bisogna dare valore al pareggio ottenuto contro la Roma».

Le ragioni dietro la frenata dell’ultimo mese e mezzo: stanchezza, calo di motivazioni o semplicemente gli avversari vi hanno preso le misure? «Per me la squadra sta bene e sta continuando a fare ciò che chiede l’allenatore, purtroppo il risultato pieno manca da un po’ ma bisogna anche considerare lo stato di forma e le motivazioni delle avversarie affrontate, tutte in lotta per un obiettivo importante. Forse avevamo abituato troppo bene i tifosi con quel filotto di vittorie, e posso capire la loro delusione: è anche la nostra, ma questo non significa che abbiamo mollato. E vogliamo dimostrarlo».

Quindi nel gruppo c’è ancora la convinzione di poter arrivare all’ottavo posto, e soprattutto la fame di agguantarlo… «Certo che sì, anche perché in classifica siamo tutte lì e la corsa è apertissima. Le nostre concorrenti dovranno sfidare squadre di fascia alta o affrontarsi tra loro, quindi c’è lo spazio per approfittarne. Però bisogna vincere a Cremona, e poi magari sperare che il Napoli sia ancora immerso nei festeggiamenti per lo scudetto (sorride, ndr)».

Motta ti sta dando grande fiducia: come ti trovi con lui e all’interno della sua idea di calcio? «Il mister mi aiuta tanto e dà grandissimo peso al lavoro settimanale, questa è la cosa che apprezzo di più: con lui chi si allena bene gioca. Io cerco di dare il massimo ogni giorno e poi in partita, non mi risparmio mai perché voglio garantire sempre un contributo tangibile alla causa».

Quali sono a tuo avviso le modifiche più significative apportate durante la sua gestione? «Motta ci chiede di essere un blocco unico, di difendere e attaccare collettivamente. Nello specifico, noi esterni offensivi siamo chiamati a dare ampiezza e favorire le avanzate dei centrocampisti, mettendoci poi nelle condizioni di battere a rete o di servire un compagno meglio posizionato».

Il momento più bello di questo campionato. «I gol segnati e soprattutto le belle vittorie ottenute mi hanno dato enorme soddisfazione, ma più che un momento vorrei citare la bellezza della tifoseria rossoblù: per me la gioia più grande è vedere il Dall’Ara sempre pieno e arrivare ad un risultato positivo insieme alla nostra gente, che non smette mai di sostenerci. Per non parlare delle trasferte, in qualsiasi giorno e a qualsiasi ora: da Monza a Firenze, da Verona a Reggio Emilia. A volte li guardo così numerosi e mi chiedo: “Ma siamo a Bologna per caso?” (sgrana gli occhi e sorride, ndr)».

Per te tre gol e cinque assist: come valuti la tua stagione finora? «I bilanci sono abituato a farli alla fine: mancano ancora tre partite, voglio provare a migliorare ulteriormente il mio score lasciando il segno. Ne riparliamo dopo Lecce…».

Esterno, centravanti o magari seconda punta: in che ruolo ti trovi meglio? Perdona la domanda poco originale… «Sì, me lo chiedono tutti, ma la realtà è che quando sei giovane non stai lì troppo a pregare l’allenatore di metterti in una posizione piuttosto che in un’altra, non avanzi pretese, vuoi solo giocare e divertirti. Anche in Nazionale è così, vengo lasciato molto libero di svariare dal c.t. Poi è chiaro che se in una data settimana so che farò il centravanti, mi alleno in quello specifico ruolo. Se domani Thiago mi chiede di fare il terzino a tutta fascia, sono pronto (sorride, ndr). Del resto nel settore giovanile dell’Atalanta sono cresciuto come mediano, avevo il numero 6, fu mister Bonacina in Primavera che mi spostò sulla fascia».

Sapere che con 19 milioni sei l’investimento più oneroso nella storia del club è più un peso o un orgoglio? «È una responsabilità. So benissimo che il Bologna ha fatto tanto per me, a livello di investimento e non solo, proprio da qui nasce la mia massima disponibilità nei confronti di tutto l’ambiente e di questi colori».

Nelle scorse sessioni di mercato, quanto sei stato vicino a lasciare il club? E nel prossimo futuro ti vedi ancora con questa maglia? «Ho un contratto fino al 2025, poi le voci di mercato è normale che ci siano, fanno parte del gioco. Qualche interessamento era arrivato ma sono ancora qua, ho sempre messo il Bologna al primo posto. Certo, nel calcio mai dire mai e quindi meglio non esporsi troppo sul futuro per non prendere in giro i tifosi, ma qui sto davvero benissimo».

Piccola curiosità: sei nato nel ’98 ma indossi il 99, forse perché è il numero con cui hai esordito in Serie A? «Esatto, ero un ragazzino e in Primavera indossavo spesso il 9, così alla prima convocazione di Gasperini dissi al magazziniere dell’Atalanta, il mitico Dorino: “Mettici un altro 9” (ride, ndr). Ancora oggi qualcuno pensa che una delle due cose sia sbagliata, o l’anno di nascita o il numero di maglia…».

Raccontaci un po’ di Musa fuori dal campo: interessi, hobby, rapporto con la città… «Sono un ragazzo molto tranquillo e dedito al lavoro, il divertimento me lo concedo più che altro durante le vacanze. E da musulmano praticante, la religione e la preghiera hanno un ruolo molto importante nella mia vita. Per quanto riguarda la città, mi sento a mio agio perché i bolognesi sono persone perbene, affettuosi ma mai invadenti. E ci ho messo poco a capire perché tutti dicono che a Bologna si mangia bene, ogni ristorante è fantastico (sorride, ndr). E poi ci sono le gelaterie, il Bombocrep…».

…e le canzoni di Dalla. «Aaaah Lucio (fa il classico gesto di apprezzamento con la mano, ndr), tanta roba! Le sto imparando tutte a memoria, ho cominciato con L’anno che verrà e non mi sono più fermato, da buon bolognese quale ormai mi sento (ride, ndr). Mi fanno stare bene e mi aiutano anche ad imparare nuove parole. Come del resto faccio coi film, lingua italiana e sottotitoli in inglese».

È appena passata la Festa della Mamma e con la tua hai un legame solidissimo e un rapporto speciale, giusto? «Mamma è la cosa più importante della mia vita, lei mi ha dato tutto, ogni giorno ringrazio Dio di avere una madre così, di essere nato in una famiglia con questa cultura ed educazione (Musa ha due fratelli e una sorella, ndr). Ora è in Gambia ma era stata qui per tre mesi prima dell’inizio del Ramadan. Confesso che ancora faccio fatica a guardarla negli occhi quando le parlo, è come una forma inconscia di rispetto, e lei mi prende in giro coi miei amici: “Musa non mi guarda…” (sorride, ndr)».

Un’altra figura molto importante per la tua crescita e la tua carriera è stata quella di Mihajlovic: un tuo ricordo di Sinisa. «Eh, il mister (sul suo volto compare un sorriso malinconico e carico d’affetto, ndr)… Ogni giorno parlavamo e scherzavamo, fuori dal campo era come un papà per me. Ecco perché mi sono ripromesso di dedicare ogni gol a lui e alla sua famiglia. Una volta eravamo in palestra e ricordo che mi disse: “È bello fare i calciatori e guadagnare tanto ma non bisogna vivere solo per i soldi, la vita è piena di tante altre cose e finché c’è va goduta a pieno”. Quando ho saputo della sua scomparsa mi è subito venuta in mente quella frase. Al funerale ho pianto dalla chiesa fino alla stazione… Da credente accetto la morte come parte della vita, so che può arrivare anche da giovani, ma ogni volta che vengo qui e guardo il posto in cui parcheggiava sempre l’auto è un duro colpo. Certi giorni usciva dal centro tecnico tutto elegante e gli facevo: “Che belle scarpine mister…”. E lui: “Ma almeno lo sai quanto costano queste?”. Mi mancano quei momenti».

E a ‘Musa piccolo’, come lo chiamava lui, cos’è successo dopo quel gol a San Siro? Ora è in Danimarca, all’Odense… «La vita è imprevedibile e non tutte le strade sono lineari, ognuno ha la propria. Juwara è ancora giovane, ha 21 anni e tutte le carte in regola per cambiare nuovamente in meglio il suo percorso: per me è come un fratellino e ci sentiamo spesso, so che si sta allenando bene ed è molto determinato a tornare in alto. Credo in lui e gli auguro ogni bene».

Proviamo a fissare due obiettivi: l’Europa il prima possibile col Bologna e poi, nel 2026, il Mondiale col Gambia. «Li hai indovinati in pieno (ride, ndr). Sì, vorrei tanto diventare un simbolo di questo club e condurlo verso traguardi importanti. E stessa cosa con la Nazionale, il Mondiale è un obiettivo ambizioso ma dopo la bella Coppa d’Africa disputata nel 2021 non vogliamo fermarci».

Che ne dici, per concludere ti va di promettere un gol ai tifosi in vista di sabato? Musa, ci mancano i tuoi tiri all’incrocio dei pali… «In primis mi sento che arriverà un risultato positivo. L’avevo dichiarato anche prima di Bergamo ed è andata così: qui in Italia si tende a non esporsi per scaramanzia, ma io a queste sensazioni ci credo e non ho problemi ad esternarle. Quanto a noi attaccanti, Motta in effetti ci dice che dobbiamo tirare di più in porta: spesso i difensori sono bravi a non farmi mettere bene col corpo e allora preferisco servire un compagno, ma continuerò a provarci perché sì, pure io voglio fare gol».

Simone Minghinelli

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Foto copertina: Getty Images (via OneFootball)