31 dicembre 1922: la prima partita di Schiavio. Nel calcio dei miliardi, ricordiamoci della leggenda che non voleva soldi per fare gol

31 dicembre 1922: la prima partita di Schiavio. Nel calcio dei miliardi, ricordiamoci della leggenda che non voleva soldi per fare gol

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Il 31 dicembre non è una data qualsiasi nel calendario della grande storia del Bologna. Questo è il giorno in cui il talento di Angelo Schiavio, il più grande goleador bolognese di tutti i tempi, apparve per la prima volta all’orizzonte rossoblù. Accadde esattamente un secolo fa, il pomeriggio del 31 dicembre 1922 in occasione di una doppia amichevole che il BFC di Hermann Felsner aveva programmato con gli austriaci del Wiener e gli ungheresi dell’Ujpest. Schiavio, classe 1905, era ancora uno sconosciuto diciassettenne che aveva disputato qualche stagione nel vivaio della Fortitudo, quando ancora il vessillo dell’aquila copriva anche la squadra di calcio. Nei Boys Rossoblù, la primavera del Bologna, aveva fatto intravedere i primi colpi, ed è per questo che Felsner approfittò di quella insolita doppia amichevole nel giorno di San Silvestro per testare la sua giovane promessa.
Lo stadio era ancora quello dello Sterlino, il mitico campo che pendeva di un metro da porta a porta. Angelo si mise la maglia da titolare e segnò entrambi i gol che regalarono la vittoria sugli austriaci. Finito l’incontro, non ebbe nemmeno il tempo di godersi i complimenti dei compagni più anziani: Giuseppe Della Valle diede forfait per un improvviso attacco di febbre e toccò proprio a Schiavio sostituirlo. Una partita dietro l’altra, senza un attimo per rifiatare. Fu così che anche gli ungheresi impararono in fretta di che pasta fosse fatto il ragazzino: fu suo l’1-0 che decise quell’amichevole. Tre gol in un pomeriggio, contro due avversari diversi, giocando due partite filate. Felsner non aveva più bisogno di ulteriori conferme: quel pomeriggio di un secolo fa aveva trovato il campione del futuro.
Schiavio in realtà è stato molto più dei suoi 251 gol in 364 presenze, molto più dei quattro scudetti e delle due Coppe dell’Europa Centrale conquistate col Bologna, e persino più della rete decisiva nella finale del Mondiale 1934 con cui l’Italia di Vittorio Pozzo sconfisse all’ultimo respiro la temibile Cecoslovacchia. I numeri non dicono tutto e non spiegano, da soli, lo spirito di un uomo che per giocare non accettò mai denaro o premi extra (tranne quando Renato Dall’Ara, senza avvisare, gli recapitò a casa una Fiat Topolino come segno di gratitudine per tutti gli anni di militanza rossoblù).
L’etica di Anzlein era rivoluzionaria, oggi semplicemente inapplicabile, nel calcio che trasforma la pensione di Cristiano Ronaldo in un assegno da 200 milioni di euro l’anno: «Ho già un lavoro che mi impegna, giocare per il Bologna è solo un onore». Anche per questo, finché fu gli possibile, si rifiutò di firmare un vero contratto, non per sentirsi libero di ascoltare altre sirene (Giuseppe Meazza lo corteggiò a lungo, e inutilmente, per convincerlo ad accettare la proposta dell’Inter) ma solo per poter tornare senza preoccupazioni al suo lavoro in bottega, la ditta di abbigliamento e tessuti Schiavio e Stoppani, quella che considerava la sua vera occupazione.

Luca Baccolini

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